Le magliette che mostrano la disposizione mentale che ha portato ai crimini di Guerra a Gaza — 24/03/09
(Questo articolo è stato tradotto per Megachip)
di Adam Horowitz – da Mondoweiss
«Ha'aretz» prosegue con la pubblicazione delle testimonianze dei soldati impiegati a Gaza. L'articolo completo si trova qui. È interessante perché mostra senza riserve il fervore messianico che alimentava la politica di punizione collettiva perseguita dal governo israeliano durante l'Operazione Piombo Fuso. Non lo commenterò ulteriormente, andate a leggerlo. Voglio parlare di un altro articolo, pubblicato proprio oggi da «Ha'aretz». Il pezzo è firmato da Uri Blau ed è intitolato "Se non lasciate vergini non ci saranno attentati". Si incentra sull'abitudine dei soldati israeliani di farsi stampare maglie personalizzate che recano il logo della loro unità insieme a slogan di vario tipo. Di seguito, potete vedere qualche esempio di queste magliette e della grafica che le adorna. Queste immagini sono comparse solo sull'edizione in lingua ebraica del sito di «Ha'aretz»:
- Una T‑shirt per cecchini di fanteria reca la frase “Meglio usare Durex” vicino al disegno di un bambino palestinese morto, con accanto sua madre in lacrime ed un orsacchiotto.
— Un'altra maglietta per cecchini della Brigata Givati mostra una donna palestinese incinta con un mirino stampato sul ventre e lo slogan, scritto in inglese, "1 proiettile, 2 morti."
— Dopo l'Operazione Piombo Fuso, i soldati dello stesso battaglione hanno incominciato ad indossare una maglia che mostra il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, che viene penetrato per via anale da un avvoltoio.
— Una T‑shirt dedicata ai soldati che hanno completato il corso di cecchino: si vede un bimbo palestinese che cresce fino a diventare un teenager aggressivo e poi un adulto armato. Lo slogan: "Non importa come comincia, noi lo concluderemo.”
— Ci sono anche magliette dal contenuto spodoratamente sessuale. Il battaglione Lavi, ad esempio, ha diffuso una T‑shirt che mostra un soldato con accanto una ragazza contusa e la frase: "Scommetto che ti hanno stuprata!"
— Alcune delle immagini sottolineano azioni che l'esercito ha ufficialmente negato, come la pratica di “confermare i morti” (sparare in testa ai cadaveri, per assicurarsi della loro effettiva dipartita), o quella di danneggiare i luoghi di culto, o di uccidere donne e bambini.
Un'altra maglia per cecchini mostra un ennesimo arabo nel mirino e l'annuncio: "Lo facciamo con le migliori intenzioni." Una T‑shirt stampata dopo l'Operazione Piombo Fuso per il Battaglione 890 dei paracadutisti mostra un soldato con le fattezze di King Kong in una città sotto attacco. Il messaggio non lascia spazio ad ambiguità: "Se credi che si possa aggiustare, allora convinciti che si può distruggere!"
Queste magliette, prima di essere stampate, devono essere approvate dai comandanti dell'esercito. Sono una tradizione militare, anche se la loro natura esplicita è per certi versi nuova. Orna Sasson-Levy, sociologo dell'Università di Bar-Ilan, afferma che le T‑shirt “fanno parte di una radicalizzazione del processo che l'intera nazione sta attraversando: i soldati sono solo l'avanguardia”. L'attivista israeliano Sergeiy Sandler, impegnato da anni in campagne contro il militarismo insieme all'associazione New Profile, ci ha mandato questo articolo via mail, spiegandoci che le magliette sono “una duratura tradizione delle unità militari israeliane; si possono trovare ovunque, sulle bancarelle, anche se generalmente hanno slogan meno oltraggiosi. Un immagine vale mille parole, non trovi?”
Non credo che questo tipo di T‑shirt siano un'esclusiva di Israele. Scommetto che ne sono state create anche per i soldati statunitensi in Iraq. Ma le maglie indicano un ambiente in cui è permesso, se non incoraggiato, il compiere crimini di guerra. Riflettono una mentalità in cui la vita palestinese è vista con disdegno e spesso non è neanche riconosciuta come tale. Uno dei soldati lo ha spiegato chiaramente, durante la testimonianza in cui ha descritto l'omicidio di una madre e dei suoi due bambini: "…l'atmosfera generale, per quello che ho capito dalla gran parte dei colleghi con cui ho parlato… non so come descriverla… diciamo che le vite dei palestinesi hanno molta, molta meno importanza delle vite dei nostri soldati. Per quello che li riguarda, giustificano in questo modo ogni loro azione."