26
Gen
2012

Lovecraft Zero — Vol. 3 — Estraneo

Rie­di­to da Edi­zio­ni di Kar­ta, è usci­to il ter­zo eBook del­la serie Love­craft ZeroEstra­neo.
Scrit­to da H.P. Love­craft e tra­dot­to da Mas­si­mo Spi­ga, è acqui­sta­bi­le e leg­gi­bi­le da chiun­que abbia un let­to­re eBook o un tablet. Cthu­lhu f'taghn!
La col­la­na
Love­craft Zero inten­de ripro­por­re i rac­con­ti bre­vi, le let­te­re e gli altri testi di Howard Phil­lips Love­craft in for­ma­to digi­ta­le ed in ita­lia­no. Soprat­tut­to, la novi­tà di Love­craft Zero è la tra­du­zio­ne: è con­tem­po­ra­nea e dina­mi­ca, pri­va del­la pom­po­si­tà otto­cen­te­sca che carat­te­riz­za lo sti­le del Soli­ta­rio di Pro­vi­den­ce. Lun­gi dall'essere una "vio­la­zio­ne" degli scrit­ti love­craf­tia­ni, que­sta col­la­na è un atto d'amore nei con­fron­ti del genio di que­sto autore.
Visi­ta la home­pa­ge di Love­craft Zero a que­sto link.
Il ter­zo volu­me con­tie­ne il rac­con­to bre­ve Estra­neo, scrit­to nel 1921 e pub­bli­ca­to nel 1926 sul­la rivi­sta Weird Tales.
Sinos­si
Il miste­rio­so pro­ta­go­ni­sta di que­sta sto­ria vive in un castel­lo diroc­ca­to, cin­to da una fore­sta che pare infi­ni­ta, in cui la luce non giun­ge mai. Non ha alcun ricor­do del suo pas­sa­to ed è tor­men­ta­to dal­la soli­tu­di­ne. Quan­do deci­de di fug­gi­re dal­la sua dimo­ra, alla ricer­ca dell’agognata luce del Sole, met­te in moto una serie di even­ti che gli rive­le­ran­no la natu­ra del suo mon­do e del­la sua stes­sa esistenza.

Ante­pri­ma
Ecco l'incipit: 
Infe­li­ce. 
Chi ricor­da l’infanzia e pro­va sol­tan­to pau­ra e tri­stez­za. Chi, guar­dan­do al pas­sa­to, non vede altro che ore soli­ta­rie spe­se in sale lugu­bri, orna­te di pesan­ti ten­dag­gi e file ver­ti­gi­no­se di libri anti­chi. Oppu­re veglie timo­ro­se, tra­scor­se tra boschi cre­pu­sco­la­ri fit­ti di albe­ri grot­te­schi, spro­por­zio­na­ti, stran­go­la­ti dal­le lia­ne. I loro rami ritor­ti ondeg­gia­va­no pia­no, sen­za far rumo­re. Que­sto è il desti­no che gli dei mi han­no con­ces­so. Tor­po­re, delu­sio­ne. Per me che sono ari­do e logo­ro. E’ un para­dos­so, ma que­sti ricor­di san­no anche dar­mi gio­ia. Nei momen­ti in cui la mia men­te si arri­schia a spin­ger­si oltre, mi aggrap­po ad essi con tut­te le mie forze.
Non so dove sono nato. Il castel­lo in cui ha vis­su­to è infi­ni­ta­men­te vec­chio. Tur­pe. Cri­vel­la­to da cor­ri­doi sen­za luce. Coper­to da sof­fit­ti così alti da esse­re invi­si­bi­li, ostrui­ti da ombre e ragna­te­le. Le pare­ti dei cor­ri­doi era­no ammor­ba­te da una umi­di­tà inna­tu­ra­le, e su tut­to domi­na­va un tan­fo mali­gno: muc­chi di cada­ve­ri appar­te­nen­ti a gene­ra­zio­ni mor­te. Non c’era luce. Tal­vol­ta accen­de­vo qual­che can­de­la e la fis­sa­vo a lun­go. Mi dava sol­lie­vo. Non c’era alcun Sole oltre le fine­stre, per­ché albe­ri ter­ri­bi­li sovra­sta­va­no ogni tor­rio­ne acces­si­bi­le. Solo una tor­re nera supe­ra­va le fron­de e si affac­cia­va ad un cie­lo per me igno­to. In par­te diroc­ca­ta, la tor­re ave­va una cima qua­si irrag­giun­gi­bi­le, se non sca­lan­do­ne le nude pare­ti, pie­tra dopo pietra.