23
Dic
2012

Lovecraft Zero — Vol. 5 — Il Rito

Rie­di­to da Edi­zio­ni di Kar­ta, è usci­to il quin­to eBook del­la serie Love­craft Zero: Il Rito.
Scrit­to da H.P. Love­craft e tra­dot­to da Mas­si­mo Spi­ga, è acqui­sta­bi­le e leg­gi­bi­le da chiun­que abbia un let­to­re eBook o un tablet. Cthu­lhu f'taghn!

Il Rito (tito­lo ori­gi­na­le: The Festi­val) è uno dei pri­mi rac­con­ti del­la saga de I Miti di Cthu­lhu. E' anche la sto­ria in cui vie­ne intro­dot­ta la leg­gen­da­ria cit­tà di King­sport, cru­cia­le nel­la geo­gra­fia imma­gi­na­ria love­craf­tia­na. Il suo sti­le ele­va­to lo por­ta qua­si al ran­go di poe­ma in pro­sa, pur pre­ser­van­do l'architettura goti­ca tipi­ca di tut­ti i suoi rac­con­ti (o, alme­no, mol­ti di quel­li pre­ce­den­ti al 1926).

La col­la­na
Love­craft Zero inten­de ripro­por­re i rac­con­ti bre­vi, le let­te­re e gli altri testi di Howard Phil­lips Love­craft in for­ma­to digi­ta­le ed in ita­lia­no. Soprat­tut­to, la novi­tà di Love­craft Zero è la tra­du­zio­ne: è con­tem­po­ra­nea e dina­mi­ca, pri­va del­la pom­po­si­tà otto­cen­te­sca che carat­te­riz­za lo sti­le del Soli­ta­rio di Pro­vi­den­ce. Lun­gi dall'essere una "vio­la­zio­ne" degli scrit­ti love­craf­tia­ni, que­sta col­la­na è un atto d'amore nei con­fron­ti del genio di que­sto autore.
Sinos­si
Gui­da­to dagli scrit­ti dei suoi ante­na­ti, un uomo giun­ge nel­la tetra cit­ta­di­na di King­sport. Il suo obiet­ti­vo è quel­lo di par­te­ci­pa­re all’ancestrale rito di Yule­ti­de, un’antica tra­di­zio­ne di fami­glia. Seb­be­ne Yule­ti­de non sia altro che la cele­bra­zio­ne paga­na del­la pri­ma­ve­ra ven­tu­ra, lo sfor­tu­na­to pro­ta­go­ni­sta sco­pri­rà che i suoi avi si ingi­noc­chia­va­no a ben altri Dei.

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Ante­pri­ma

Ecco l'incipit di Il Rito: 
Ero lon­ta­no da casa, per­so nel fasci­no dell’oceano orien­ta­le. Lo sen­ti­vo fran­ger­si sugli sco­gli, men­tre il Sole tra­mon­ta­va all’orizzonte. La mia desti­na­zio­ne si tro­va­va poco oltre la col­li­na, dove i sali­ci ritor­ti ondeg­gia­va­no sot­to un cie­lo ter­so, illu­mi­na­to dal­le pri­me luci del­la sera. Cam­mi­na­vo per una stra­da coper­ta di neve fre­sca. Si iner­pi­ca­va, soli­ta­ria, nel­la stes­sa dire­zio­ne in cui vede­vo Alde­ba­ran scin­til­la­re tra le cime degli albe­ri, ver­so quell’antica cit­tà che non ave­vo mai visi­ta­to, se non in sogno. Ero sta­to spin­to a rag­giun­ger­la dai miei antenati. 
Era Yule­ti­de, anche se gli uma­ni chia­ma­no “Nata­le” que­sta ricor­ren­za, pur sapen­do in cuor loro che è più anti­ca di Betlem­me e Babi­lo­nia, di Men­fi e del­lo stes­so gene­re uma­no. Era Yule­ti­de, ed io ero infi­ne giun­to all’antico bor­go di mare in cui la mia gen­te, in tem­pi remo­ti, ave­va abi­ta­to e cele­bra­to il rito, quan­do esso era anco­ra proi­bi­to. Ave­va­no impo­sto ai loro figli di cele­bra­re la ceri­mo­nia una vol­ta per ogni seco­lo, cosic­ché la memo­ria dei segre­ti pri­mi­ge­ni non andas­se per­du­ta. La mia stir­pe era anti­ca. Lo era già tre­cen­to anni fa, quan­do que­ste ter­re furo­no colo­niz­za­te. Appar­te­ne­vo ad una biz­zar­ra genìa, scu­ra e fur­ti­va, la cui ori­gi­ne affon­da nei pia­ce­ri dell’oppio e nei giar­di­ni d’orchidee che cre­sco­no nel meri­dio­ne. Pri­ma di par­la­re la lin­gua dei pesca­to­ri dagli occhi azzur­ri, ne par­la­va­mo un’altra. Ora la mia stir­pe è spar­sa per il mon­do: ciò che ci acco­mu­na sono i riti miste­ri­ci. E nes­sun viven­te potrà mai com­pren­der­li. Quel­la not­te, fui l’unico a rag­giun­ge­re la decre­pi­ta cit­tà di pesca­to­ri. Lo pre­scri­ve­va la leg­gen­da. Solo i pove­ri ed i soli­ta­ri la ricordano. 
King­sport, diste­sa nel gela­to imbru­ni­re, emer­se dal fian­co del­la col­li­na. Coper­ta di neve, la cit­ta­di­na era ric­ca di anti­chi cam­pa­ni­li e segna­ven­to, comi­gno­li e tet­ti di legno, moli e pon­ti­cel­li, sali­ci e cimi­te­ri, ster­mi­na­ti budel­li di vico­li stret­ti, ripi­di, tor­tuo­si. Al cen­tro del bor­go c’era una piaz­za, inco­ro­na­ta da una chie­sa, che il tem­po non osa scal­fi­re. Labi­rin­ti scon­fi­na­ti di case colo­nia­li, costrui­te l’una sull’altra, era­no rivol­ti in ogni dire­zio­ne e ammuc­chia­ti su più pia­ni: sem­bra­va­no le disor­di­na­te costru­zio­ni di un bam­bi­no. L’antichità vol­teg­gia­va con ali gri­gie sui sot­to­tet­ti e le man­sar­de sbian­ca­te dall’inverno. Unen­do­si ad Orio­ne e le stel­le anti­che, le pic­co­le fine­stre si accen­de­va­no di luce nel fred­do cre­pu­sco­lo, una ad una. Il mare fla­gel­la­va i moli mar­ce­scen­ti. Era lo stes­so mare miste­rio­so, imme­mo­re, da cui la mia gen­te era giun­ta in un lon­ta­nis­si­mo passato.