21
Giu
2009

Visioni della Crisi/ La nave dei folli — 16/02/09

(Que­sto arti­co­lo, tra­dot­to in col­la­bo­ra­zio­ne con Mile­na Finaz­zi, è sta­to pub­bli­ca­to su Mega­chip)

di Paul Craig Roberts – vdare.com

Esi­ste vita intel­li­gen­te a Washing­ton, DC? Nean­che un briciolo.
L’economia sta­tu­ni­ten­se sta implo­den­do ed Oba­ma si lascia tra­ghet­ta­re ver­so il pan­ta­no dell’Afghanistan dal suo gover­no di neo­con e agen­ti israe­lia­ni, eve­nien­za che pro­ba­bil­men­te cau­se­rà uno scon­tro con la Rus­sia e for­se anche con la Cina. La qua­le, non biso­gna scor­dar­lo, è il mag­gio­re cre­di­to­re degli Sta­ti Uniti.
Le cifre dei libri paga di gen­na­io rive­la­no cir­ca 20mila licen­zia­men­ti al gior­no. In dicem­bre, la situa­zio­ne era anche più nera del pre­vi­sto (dai 524mila licen­zia­men­ti pre­ven­ti­va­ti ai 577mila rea­li). Que­sta cor­re­zio­ne fa arri­va­re l’ammontare di posti di lavo­ro per­du­ti in due mesi a 1.175.000. Se si con­ti­nua così, i 3 milio­ni di nuo­vi impie­ghi pro­mes­si da Oba­ma saran­no con­tro­bi­lan­cia­ti e can­cel­la­ti dai licen­zia­men­ti di massa.
Secon­do John Wil­liams (esper­to di sta­ti­sti­ca e cura­to­re di Shadowstats.com), que­ste tita­ni­che cifre sono una sot­to­sti­ma del­la rea­le pro­por­zio­ne del­la cri­si. Wil­liams fa nota­re che gli erro­ri di valu­ta­zio­ne, intrin­se­chi nei fat­to­ri di cor­re­zio­ne sta­gio­na­li, han­no fat­to spa­ri­re 118mila licen­zia­men­ti dai reso­con­ti di gen­na­io: la cifra rea­le per quel mese rag­giun­ge­reb­be i 716mila posti di lavo­ro perduti.
Ma le ricer­che basa­te sui libri paga con­ta­no il nume­ro di posti di lavo­ro, non il nume­ro del­le per­so­ne occu­pa­te. Que­ste due cifre non sono equi­va­len­ti, per­ché alcu­ni cit­ta­di­ni potreb­be­ro ave­re più di un lavoro.
Al con­tra­rio, l’Household Sur­vey (NdT: un enor­me reso­con­to sul­le con­di­zio­ni eco­no­mi­che del­la nazio­ne, con­dot­to dall’equivalente ame­ri­ca­no del nostro ISTAT) con­ta il nume­ro degli impie­ga­ti effet­ti­vi. Mostra che 832mila per­so­ne han­no per­so il pro­prio lavo­ro a gen­na­io e 806mila a dicem­bre, per un tota­le di 1.638.000.
Il tas­so di disoc­cu­pa­zio­ne scio­ri­na­to dai media sta­tu­ni­ten­si è, quin­di, un fal­so pla­tea­le. Wil­liams spie­ga che negli anni dell’amministrazione Clin­ton, la cate­go­ria dei lavo­ra­to­ri "sco­rag­gia­ti" (colo­ro che nean­che cer­ca­va­no più un lavo­ro) è sta­ta ride­fi­ni­ta, in modo da entra­re nel­le sta­ti­sti­che solo quan­do lo "sco­rag­gia­men­to" ave­va una dura­ta infe­rio­re ad un anno. Que­sta limi­ta­zio­ne tem­po­ra­le ha spaz­za­to via dai docu­men­ti uffi­cia­li la mag­gior par­te di que­sti disoc­cu­pa­ti sen­za spe­ran­za. Riag­gre­gan­do que­sto seg­men­to del­la popo­la­zio­ne alle sta­ti­sti­che attua­li, ci ren­dia­mo con­to che la disoc­cu­pa­zio­ne effet­ti­va, a gen­na­io, ha rag­giun­to il 18%, con un aumen­to del­lo 0,5% rispet­to al mese precedente.
In altre paro­le, se rimuo­via­mo dai dati uffi­cia­li le mani­po­la­zio­ni di un gover­no che ci men­te ogni vol­ta che apre la boc­ca, con­sta­te­re­mo che il livel­lo di disoc­cu­pa­zio­ne sta­tu­ni­ten­se è suf­fi­cien­te per dichia­ra­re la nostra eco­no­mia in sta­to di depressione.
E non potreb­be esse­re altri­men­ti, data l’enorme mole di posti di lavo­ro che è sta­ta tra­sfe­ri­ta all’estero. Un gover­no è impos­si­bi­li­ta­to a crea­re nuo­vi posti di lavo­ro, se le sue azien­de spo­sta­no all’estero gli impian­ti di pro­du­zio­ne per i beni ed i ser­vi­zi desti­na­ti al mer­ca­to inter­no. Spo­stan­do i pro­ces­si pro­dut­ti­vi all’estero, "cedo­no" ad altri sta­ti del­le fet­te del PIL nazio­na­le. Il defi­cit nel­le espor­ta­zio­ni che ne risul­ta ha, negli ulti­mi die­ci anni, fat­to crol­la­re il PIL sta­tu­ni­ten­se di 1,5 tri­lio­ni di dol­la­ri. Tra­dot­to: un sac­co di posti di lavoro.
Da anni par­lo dei lau­rea­ti costret­ti a fare la came­rie­ra o il bari­sta per soprav­vi­ve­re. Man mano che una popo­la­zio­ne espo­nen­zial­men­te inde­bi­ta­ta con­ti­nua a per­de­re posti di lavo­ro, sarà sem­pre meno incli­ne a fre­quen­ta­re bar e risto­ran­ti. E ciò signi­fi­ca che i lau­rea­ti sta­tu­ni­ten­si non riu­sci­ran­no a tro­va­re nem­me­no quei lavo­ri che impli­ca­no il lavag­gio di piat­ti o la pre­pa­ra­zio­ne di cocktail.
I legi­sla­to­ri han­no igno­ra­to il fat­to che, nel ven­tu­ne­si­mo seco­lo, la doman­da dei con­su­ma­to­ri è sta­ta prin­ci­pal­men­te ali­men­ta­ta dall’aumento dell’indebitamento, e non degli introi­ti. Que­sto fat­to basi­la­re ci mostra come sia inu­ti­le ten­ta­re di sti­mo­la­re l’economia con vago­na­te di dol­la­ri diret­te ai ban­chie­ri (per con­vin­cer­li a pre­sta­re più dena­ro, s’intende). I con­su­ma­to­ri ame­ri­ca­ni non sono più nel­la con­di­zio­ne di chie­de­re prestiti.
Se som­mia­mo il crol­lo del valo­re dei loro prin­ci­pa­li asset (vale a dire le loro case), la distru­zio­ne di metà dei loro fon­di pen­sio­ni­sti­ci e la minac­cia di un futu­ro di disoc­cu­pa­zio­ne, ci ren­dia­mo con­to che gli ame­ri­ca­ni non pos­so­no e non voglio­no spendere.
Quin­di, che sen­so ha offri­re un ‘bai­lout’ a grup­pi come la Gene­ral Motors e la Citi­bank, che fan­no il pos­si­bi­le per tra­sfe­ri­re all’estero il mag­gior nume­ro di operazioni?
È vero che gran par­te del­le infra­strut­tu­re sta­tu­ni­ten­si sono in pes­si­me con­di­zio­ni e han­no un gran biso­gno di ristrut­tu­ra­zio­ne, ma i lavo­ri in que­sto set­to­re non pro­du­co­no beni e ser­vi­zi che pos­sa­no esse­re espor­ta­ti. L’impegno mas­sic­cio nel set­to­re del­le infra­strut­tu­re non cam­bia di una vir­go­la il mostruo­so defi­cit d’esportazione sta­tu­ni­ten­se, il cui finan­zia­men­to ini­zia a rap­pre­sen­ta­re un gros­so pro­ble­ma. Ancor di più, i posti di lavo­ro nel set­to­re del­le infra­strut­tu­re dura­no esat­ta­men­te quan­to la rea­liz­za­zio­ne del­le stesse.
Nel­la miglio­re del­le ipo­te­si, lo "sti­mo­lo" all’economia pro­pu­gna­to da Oba­ma non farà altro che ridur­re tem­po­ra­nea­men­te la disoc­cu­pa­zio­ne, sem­pre che la mag­gior par­te dei nuo­vi posti di lavo­ro nel cam­po dell’edilizia non sia­no occu­pa­ti da messicani.
A meno che le cor­po­ra­tion sta­tu­ni­ten­si non sia­no costret­te ad impie­ga­re mano­do­pe­ra loca­le per pro­dur­re beni e ser­vi­zi indi­riz­za­ti ai mer­ca­ti dome­sti­ci, l’economia USA non ha futu­ro. Nes­sun mem­bro del­lo staff di Oba­ma è abba­stan­za intel­li­gen­te da ren­der­se­ne con­to. Quin­di, l’economia con­ti­nue­rà ad implodere.
Come se que­sta cata­stro­fe in incu­ba­zio­ne non bastas­se, Oba­ma si è fat­to addi­rit­tu­ra tur­lu­pi­na­re dai suoi con­si­glie­ri neo­con e mili­ta­ri. Ha deci­so di espan­de­re l’impegno bel­li­co in Afgha­ni­stan, una vasta regio­ne mon­ta­gno­sa. Il pre­si­den­te inten­de sfrut­ta­re la ridu­zio­ne del­le trup­pe in Iraq per rad­dop­pia­re quel­le pre­sen­ti in Afgha­ni­stan. Nono­stan­te que­sto, i 60mila sol­da­ti pre­vi­sti non sareb­be­ro comun­que suf­fi­cien­ti. Dopo­tut­to, sono meno del­la metà di quel­li coin­vol­ti nel­la fal­li­men­ta­re occu­pa­zio­ne dell’Iraq. L’esercito ha pre­ven­ti­va­to che ci vor­reb­be­ro come mini­mo 600mila sol­da­ti per por­ta­re a ter­mi­ne la missione.
Per far fuo­ri il regi­me di Bush, gli ira­nia­ni han­no dovu­to tene­re per le bri­glie i loro allea­ti scii­ti, con­vin­cen­do­li ad usa­re le ele­zio­ni per gua­da­gnar­si il pote­re ed usar­lo per espel­le­re gli ame­ri­ca­ni. Ed è per que­sto moti­vo che, in Iraq, le trup­pe sta­tu­ni­ten­si han­no dovu­to fron­teg­gia­re "sola­men­te" l’insurrezione del­la mino­ran­za sun­ni­ta. Cio­no­no­stan­te, gli occu­pan­ti sono riu­sci­ti a vin­ce­re (si fa per dire) non sul pia­no mili­ta­re, ma a suon di ban­co­no­te, sgan­cian­do dol­la­ri su dol­la­ri per con­vin­ce­re i rivol­to­si a non com­bat­te­re. L’accordo di riti­ro del­le trup­pe è sta­to det­ta­to dagli scii­ti. Non è quel­lo che Bush avreb­be voluto.
Ci si aspet­te­reb­be che l’esperienza del­la "pas­seg­gia­ta" in Iraq avreb­be reso gli Sta­ti Uni­ti più cau­ti. Ed inve­ce no, per­ché si sono get­ta­ti con mag­gior vigo­re nel ten­ta­ti­vo di occu­pa­re l’Afghanistan, un’impresa che richie­de inol­tre la con­qui­sta di aree del Pakistan.
Per gli USA è sta­ta dura man­te­ne­re 150mila sol­da­ti in Iraq. Oba­ma neces­si­ta un altro mez­zo milio­ne di sol­da­ti per paci­fi­ca­re l’Afghanistan, da aggiun­ge­re a quel­li già stan­zia­ti. Dove inten­de anda­re a pescarli?
Una rispo­sta è l’imponente disoc­cu­pa­zio­ne USA in rapi­do aumen­to. Gli ame­ri­ca­ni met­te­ran­no la fir­ma per anda­re ad ucci­de­re all’estero piut­to­sto che resta­re sen­za casa e a sto­ma­co vuo­to in patria.
Ma que­sta è solo una mez­za solu­zio­ne. Da dove attin­ge­re il dena­ro per soste­ne­re sul cam­po un eser­ci­to di 650mila uni­tà, di oltre quat­tro vol­te supe­rio­re al con­tin­gen­te USA in Iraq, una guer­ra che ci è costa­ta tre tri­lio­ni di dol­la­ri di spe­se vive e sta già gene­ran­do costi futu­ri? Que­sto dena­ro avreb­be dovu­to som­mar­si ai tre tri­lio­ni di dol­la­ri del defi­cit di bilan­cio, pro­dot­to dal sal­va­tag­gio del set­to­re finan­zia­rio ope­ra­to da Bush, dal pac­chet­to sti­mo­lo di Oba­ma e dall’economia in rapi­do decli­no. Quan­do i siste­mi eco­no­mi­ci entra­no in cri­si — come sta acca­den­do negli USA — il get­ti­to fisca­le col­las­sa. Milio­ni di ame­ri­ca­ni disoc­cu­pa­ti non paga­no i con­tri­bu­ti del­la pre­vi­den­za socia­le, le poliz­ze per l’assicurazione sani­ta­ria e le impo­ste sul red­di­to. Le atti­vi­tà com­mer­cia­li e le azien­de che chiu­do­no non ver­sa­no le impo­ste sta­ta­li e le impo­ste fede­ra­li. I con­su­ma­to­ri sen­za dena­ro o pri­vi di acces­so al cre­di­to non sbor­sa­no le impo­ste sul­le vendite.
Gli Idio­ti di Washing­ton, per­ché di idio­ti si trat­ta, non han­no pen­sa­to per un atti­mo a come finan­zia­re il defi­cit di bilan­cio dell’anno con­ta­bi­le 2009, pari a cir­ca due-tre tri­lio­ni di dol­la­ri. Il tas­so di rispar­mio vir­tual­men­te ine­si­sten­te non lo può finan­zia­re. Il sal­do atti­vo del­la bilan­cia com­mer­cia­le dei nostri part­ner qua­li Cina, Giap­po­ne ed Ara­bia Sau­di­ta non lo può finanziare.
Per­tan­to, il gover­no USA dispo­ne di due sole pos­si­bi­li­tà per far fron­te al suo disa­van­zo. La pri­ma, è costi­tui­ta da un ulte­rio­re crol­lo del mer­ca­to bor­si­sti­co, che con­dur­reb­be gli inve­sti­to­ri soprav­vis­su­ti e le loro risor­se resi­due ai buo­ni del Teso­ro “sicu­ri”. L’altra sareb­be la mone­tiz­za­zio­ne del debi­to del Teso­ro da par­te del­la Fede­ral Reserve.
La mone­tiz­za­zio­ne del debi­to impli­che­reb­be l’acquisto da par­te del­la Fede­ral Reser­ve dei buo­ni del Teso­ro qua­lo­ra nes­su­no inten­des­se acqui­star­li o fos­se in gra­do di far­lo. Ciò avver­reb­be tra­mi­te la crea­zio­ne di depo­si­ti ban­ca­ri per con­to del Tesoro.
In altri ter­mi­ni, la Fede­ral Reser­ve “stam­pe­reb­be dena­ro” con il qua­le acqui­sta­re i buo­ni del Tesoro.
Nel momen­to in cui si veri­fi­cas­se una tale eve­nien­za, il dol­la­ro USA ces­se­reb­be di esse­re la valu­ta di riserva.
Inol­tre la Cina, il Giap­po­ne e l’Arabia Sau­di­ta, pae­si che deten­go­no ingen­ti quo­te del debi­to del Teso­ro sta­tu­ni­ten­se, non­ché altri asset in dol­la­ri USA, li ven­de­reb­be­ro subi­to, nel­la spe­ran­za di sal­var­si pri­ma degli altri.
Il dol­la­ro ame­ri­ca­no per­de­reb­be ogni valo­re, al pari di una valu­ta da repub­bli­ca del­le banane.
Gli Sta­ti Uni­ti non sareb­be­ro in gra­do di paga­re le pro­prie impor­ta­zio­ni, un pro­ble­ma que­sto par­ti­co­lar­men­te gra­ve per un pae­se che dipen­de dal­le impor­ta­zio­ni per l’energia, i manu­fat­ti e i pro­dot­ti high-tech.
I con­si­glie­ri key­ne­sia­ni di Oba­ma han­no appre­so con soler­zia la lezio­ne di Mil­ton Fried­man per il qua­le la Gran­de Depres­sio­ne fu cau­sa­ta dal­la Fede­ral Reser­ve che per­mi­se una con­tra­zio­ne dell’offerta di valu­ta e di cre­di­to. Nel cor­so del­la Gran­de Depres­sio­ne i debi­ti vir­tuo­si furo­no azze­ra­ti dal­la con­tra­zio­ne mone­ta­ria. Oggi i cre­di­ti ine­si­gi­bi­li sono pro­tet­ti dall’espansione del­la mone­ta e del cre­di­to ed il Teso­ro USA sta met­ten­do a repen­ta­glio la pro­pria sol­vi­bi­li­tà e lo sta­tus di valu­ta di riser­va del dol­la­ro con aste tri­me­stra­li di ingen­ti quan­ti­tà di bond all’apparenza interminabili.
Nel frat­tem­po i rus­si, stra­ri­pan­ti di ener­gia e di risor­se mine­ra­li e pri­vi di debi­ti, han­no appre­so di non poter­si fida­re del gover­no USA. La Rus­sia ha osser­va­to i ten­ta­ti­vi dei suc­ces­so­ri di Rea­gan di tra­sfor­ma­re le ex-repub­bli­che dell’Unione Sovie­ti­ca in sta­ti mario­net­ta in mano agli ame­ri­ca­ni ed alle loro basi mili­ta­ri. Gli USA stan­no cer­can­do di accer­chia­re la Rus­sia con mis­si­li che neu­tra­liz­zi­no il deter­ren­te stra­te­gi­co russo.
Putin ha gua­da­gna­to ter­re­no nei con­fron­ti del “com­pa­gno lupo” [1].
Gra­zie alle mano­vre del pre­si­den­te del Kir­ghi­zi­stan è riu­sci­to a sfrat­ta­re dall’ex-repubblica sovie­ti­ca la base mili­ta­re sta­tu­ni­ten­se, di vita­le impor­tan­za per gli approv­vi­gio­na­men­ti ai sol­da­ti di stan­za in Afghanistan.
Per bloc­ca­re l’ingerenza ame­ri­ca­na nel­la sua sfe­ra di influen­za, il gover­no rus­so ha crea­to un’organizzazione per il trat­ta­to di sicu­rez­za col­let­ti­va com­pren­den­te Rus­sia, Arme­nia, Bie­lo­rus­sia, Kaza­ki­stan, Kir­ghi­zi­stan, Tagi­ki­stan. L’Uzbekistan par­te­ci­pa in modo parziale.
In buo­na sostan­za, la Rus­sia ha orga­niz­za­to l’Asia Cen­tra­le con­tro la pene­tra­zio­ne americana.
A chi deve rispon­de­re il Pre­si­den­te Oba­ma? Ste­phen J. Snie­go­ski, che scri­ve sul­la ver­sio­ne ingle­se del set­ti­ma­na­le sviz­ze­ro Zeit-Fra­gen, rife­ri­sce che le figu­re chia­ve del­la cospi­ra­zio­ne neo­con – Richard Per­le, Max Boot, David Brooks e Mona Cha­ren – sareb­be­ro in esta­si per le nomi­ne effet­tua­te da Oba­ma. Non vedo­no alcu­na dif­fe­ren­za tra Oba­ma e Bush/Cheney.
Non sol­tan­to i con­si­glie­ri di Oba­ma lo stan­no con­du­cen­do ver­so una guer­ra allar­ga­ta in Afgha­ni­stan ma la poten­te lob­by filoi­srae­lia­na sta­reb­be spin­gen­do Oba­ma ver­so una guer­ra con l’Iran.
L’irrealtà nel­la qua­le il gover­no USA sta ope­ran­do è da non cre­der­si. Un gover­no in ban­ca­rot­ta che non può paga­re i pro­pri con­ti sen­za stam­pa­re nuo­va mone­ta si sta but­tan­do a capo­fit­to nel­le guer­re con­tro Afgha­ni­stan, Paki­stan ed Iran. Secon­do il Cen­ter for Stra­te­gic and Bud­ge­ta­ry Ana­ly­sis, il costo che i con­tri­buen­ti ame­ri­ca­ni devo­no soste­ne­re per man­da­re un solo sol­da­to a com­bat­te­re in Iraq ammon­ta a 775.000 dol­la­ri l’anno.
Il mon­do non ha mai visto una scon­si­de­ra­tez­za così tota­le. Le inva­sio­ni del­la Rus­sia da par­te di Napo­leo­ne e di Hitler sono sta­ti atti razio­na­li se para­go­na­te alla stu­pi­di­tà irra­gio­ne­vo­le del gover­no americano.
La guer­ra di Oba­ma in Afgha­ni­stan è come il tè del Cap­pel­la­io Mat­to. Dopo set­te anni di con­flit­to, non esi­ste anco­ra una mis­sio­ne ben defi­ni­ta o un obiet­ti­vo fina­le per il con­tin­gen­te USA in Afgha­ni­stan. Inter­pel­la­to sul­la mis­sio­ne, un uffi­cia­le mili­ta­re ame­ri­ca­no ha det­to a NBC News: «Fran­ca­men­te, non ne abbia­mo una.» La NBC rife­ri­sce che «ci stan­no lavorando».
Duran­te il suo discor­so del 5 feb­bra­io ai Demo­cra­ti­ci del­la Came­ra, il pre­si­den­te Oba­ma ha ammes­so che il gover­no USA non cono­sce il moti­vo del­la mis­sio­ne in Afgha­ni­stan e che, per evi­ta­re «che la mis­sio­ne pro­ce­da a ten­to­ni, sen­za para­me­tri chia­ri», gli Sta­ti Uni­ti «han­no biso­gno di una mis­sio­ne chiara».
Cosa ne dire­ste di esse­re man­da­ti in una guer­ra il cui sco­po è sco­no­sciu­to a tut­ti, ivi com­pre­so al coman­dan­te in capo che vi ha spe­di­to a ucci­de­re o ad esse­re ucci­si? Che ne pen­sa­te, cari con­tri­buen­ti, del fat­to di soste­ne­re ingen­ti costi per invia­re sol­da­ti in una mis­sio­ne non defi­ni­ta men­tre l’economia va a rotoli?

Paul Craig Roberts è sta­to assi­sten­te del mini­stro del Teso­ro duran­te il gover­no Rea­gan. È coau­to­re di The Tyran­ny of Good Inten­tions. Può esse­re con­tat­ta­to al seguen­te indi­riz­zo: [email protected]

Arti­co­lo ori­gi­na­le: Paul Craig Roberts, Ship of Fools, vdare.com
Link: http://www.vdare.com/roberts/090208_fools.htm.
Tra­du­zio­ne di Mas­si­mo Spi­ga e Mile­na Finaz­zi per Megachip

[1] L’autore fa rife­ri­men­to ad una cita­zio­ne di Putin, il qua­le a sua vol­ta richia­ma una vec­chia sto­riel­la rus­sa: «Rabi­no­vich e la sua peco­rel­la vaga­no per i boschi. Improv­vi­sa­men­te cado­no in una fos­sa pro­fon­da. Un atti­mo dopo anche un lupo cade nel­la stes­sa fos­sa. La peco­rel­la, spa­ven­ta­ta, si met­te a bela­re. “Cos’è tut­to que­sto bee bee bee?” chie­de Rabi­no­vich, “Il com­pa­gno Lupo sa chi mangiare”.»

21
Giu
2009

Gli avvocati: Cheney e Rumsfeld in tribunale per l’11/9? Difficile ma non impossibile

(Que­sto arti­co­lo è sta­to tra­dot­to per Mega­chip)

di Ste­phen C. Web­ster – da www.rawstory.com

Quan­do rice­vet­te una meda­glia al valo­re per le lesio­ni subi­te duran­te l’attacco al Pen­ta­go­no dell’undici set­tem­bre 2001, April Gal­lop fu defi­ni­ta una "eroi­na" dall’agenzia di stam­pa dell’esercito USA. Ma è impro­ba­bi­le che gli orga­ni di stam­pa del gover­no le riser­vi­no un entu­sia­smo del gene­re per la secon­da vol­ta.
Lune­dì scor­so (15 dicem­bre 2008, ndt), April Gal­lop, che ha pre­sta­to ser­vi­zio mili­ta­re pres­so il NISA (Net­work Infra­struc­tu­re Ser­vi­ces Agen­cy) come spe­cia­li­sta ammi­ni­stra­ti­va, ed il suo avvo­ca­to Wil­liam Vea­le han­no inten­ta­to una cau­sa civi­le con­tro l’ex-ministro del­la Dife­sa Donald Rum­sfield, il vice­pre­si­den­te Dick Che­ney e l’ex-generale dell’Aeronautica sta­tu­ni­ten­se Richard Myers, capo degli Sta­ti Mag­gio­ri Riu­ni­ti duran­te gli atten­ta­ti del 9/11.
La Gal­lop accu­sa i tre impu­ta­ti di aver par­te­ci­pa­to ad un’associazione a delin­que­re con lo sco­po di faci­li­ta­re gli attac­chi e di aver occul­ta­to il peri­co­lo al per­so­na­le del Pen­ta­go­no, con­tri­buen­do fat­ti­va­men­te alle lesio­ni che lei e suo figlio di due mesi han­no ripor­ta­to duran­te l’attentato. Nel testo del­la cau­sa si cita­no anche altri ano­ni­mi che sareb­be­ro sta­ti a cono­scen­za degli atten­ta­ti.
Que­sta sto­ria è sta­ta rive­la­ta in esclu­si­va da RAW STORY. Il testo inte­gra­le del­le dichia­ra­zio­ni è repe­ri­bi­le a que­sto link.
«Tut­to è acca­du­to mol­to rapi­da­men­te. Pen­sa­vo che ci stes­se­ro bom­bar­dan­do» ha dichia­ra­to la Gal­lop in un rap­por­to pub­bli­ca­to nell’ottobre del 2001.
Dopo aver soc­cor­so un suo col­le­ga, la don­na ha ini­zia­to a setac­cia­re le mace­rie fuman­ti del suo uffi­cio alla ricer­ca del­la figlia, Eli­sha. Dopo aver­la estrat­ta dai detri­ti, ha attra­ver­sa­to i cor­ri­doi inva­si dal fumo fino a rag­giun­ge­re il pra­to este­rio­re, in cui è crol­la­ta.
Nono­stan­te la gio­ia di esse­re soprav­vis­su­ta, la Gal­lop è «anco­ra infe­ro­ci­ta con il nemi­co: me la paghe­ran­no». Sono pas­sa­ti mol­ti anni ed ora si aspet­ta che que­sto paga­men­to arri­vi tra­mi­te una cau­sa civi­le.
«Ero mol­to sec­ca­ta dal­la fre­quen­za del­le eser­ci­ta­zio­ni anti-incen­dio e dal­le eva­cua­zio­ni simu­la­te» dichia­rò la Gal­lop al Geor­ge Washing­ton Blog in un’intervista del 2006. «Capi­ta­va­no sem­pre quan­do ave­vo altro da fare. Cio­no­no­stan­te l’undici set­tem­bre, pro­prio il gior­no in cui tut­te le nostre vite era­no in peri­co­lo, non è suo­na­to un solo allar­me.»
April ha subi­to un lie­ve lesio­ne cere­bra­le, ma anco­ra lot­ta con la sin­dro­me post-trau­ma­ti­ca e la per­di­ta di udi­to. Anche sua figlia ha subi­to una lie­ve lesio­ne cere­bra­le che è dege­ne­ra­ta in un defi­cit dell’apprendimento.
Per ciò che riguar­da la rico­stru­zio­ne dell’attentato, i ricor­di del­la Gal­lop si disco­sta­no dal­la ver­sio­ne uffi­cia­le. «Le mie dichia­ra­zio­ni sono sta­te tra­vi­sa­te in mol­te occa­sio­ni. Que­sto acca­de quan­do si han­no secon­di fini. Per la cro­na­ca, ecco la mia ver­sio­ne dei fat­ti: mi tro­va­vo nell’anello E. Dall’interno dell’edificio, e sen­za alcun indi­zio su cosa fos­se suc­ces­so all’esterno, mi par­ve che fos­se sta­ta deto­na­ta una bom­ba. Sia­mo sta­ti costret­ti a fug­gi­re dal­la strut­tu­ra pri­ma che ci cascas­se addos­so. E non ricor­do di aver visto alcun rot­ta­me aereo. Ovvia­men­te non ho idea di che aspet­to abbia un aereo dopo l’impatto con un edi­fi­cio. Ma pen­so che avrei nota­to alme­no qual­che fram­men­to inu­sua­le, qual­co­sa che alme­no somi­glias­se ad un pez­zo di aereo».
«Non voglio­no si avvii un’indagine cono­sci­ti­va», ha dichia­ra­to l’avvocato Vea­le. «Se riu­scis­si­mo a supe­ra­re la loro mozio­ne ini­zia­le, tesa a stral­cia­re le dichia­ra­zio­ni del­la mia clien­te, otter­re­mo un’incriminazione. In que­sto caso, avrem­mo otti­me pro­ba­bi­li­tà di arri­va­re fino in fon­do a que­sta fac­cen­da. La leg­ge è dal­la nostra par­te.»
La cau­sa ha qual­che possibilità?

RAW STORY ha chie­sto il pro­prio pare­re ad avvo­ca­ti esper­ti in cau­se civi­li con­tro il gover­no fede­ra­le. «Le quin­di­ci pagi­ne del recla­mo sem­bra­no il pro­dot­to di un’indagine appro­fon­di­ta, che dimo­stra con dovi­zia di par­ti­co­la­ri l’esistenza di un’associazione a delin­que­re che coin­vol­ge gli impu­ta­ti. Que­sto soda­li­zio mira­va a cau­sa­re gli atten­ta­ti o per­met­te­re che aves­se­ro luo­go e ci col­pis­se­ro men­tre era­va­mo total­men­te impre­pa­ra­ti» ha dichia­ra­to Gerald A. Sterns, del­lo stu­dio lega­le Sterns & Wal­ker di San Fran­ci­sco. «Abbia­mo già svol­to pro­ces­si per asso­cia­zio­ne a delin­que­re e per­ma­ne un fon­do di dub­bio su cosa sia suc­ces­so quel gior­no e soprat­tut­to sul per­ché. È sta­to un pun­to di svol­ta posi­ti­vo per la pre­si­den­za Bush, che fino ad allo­ra si era dimo­stra­ta tutt’altro che note­vo­le, sopra­tut­to a cau­sa del­la sua con­tro­ver­sa asce­sa alla cari­ca pochi mesi pri­ma.»
Secon­do ciò che affer­ma il sito di Sterns & Wal­ker, lo stu­dio rap­pre­sen­ta i soprav­vis­su­ti di inci­den­ti aerei o altri disa­stri di una cer­ta enti­tà. Lo stu­dio «è sta­to coin­vol­to in qua­si tut­te le prin­ci­pa­li cau­se segui­te a inci­den­ti aerei, e cen­ti­na­ia di altri pro­ces­si civi­li con accu­se ad impu­ta­ti eccel­len­ti», com­pre­si gli Sta­ti Uni­ti d’America.
«La cau­sa del­la Gal­lop ha un pre­ce­den­te simi­le. Sfor­tu­na­ta­men­te per la par­te lesa, può esse­re un indi­zio del suo desti­no. Si trat­ta del caso di Vale­rie Pla­me, un ex-agen­te del­la CIA la cui coper­tu­ra è sta­ta fat­ta sal­ta­re di pro­po­si­to da Dick Che­ney e, pro­ba­bil­men­te, altri fun­zio­na­ri del­la Casa Bian­ca. La rive­la­zio­ne è sta­ta una rap­pre­sa­glia per alcu­ne affer­ma­zio­ni poco gen­ti­li fat­te dal mari­to del­la Pla­me, il qua­le sta­va inda­gan­do sul­le affer­ma­zio­ni di Bush riguar­do all’ipotetico acqui­sto, da par­te di Sad­dam Hus­sein, di mate­rie pri­me per armi di distru­zio­ne di mas­sa da uno sta­to afri­ca­no» dice Sterns. «La Pla­me ha inten­ta­to una cau­sa con­tro Che­ney ed altri per aver­le distrut­to la car­rie­ra.»
Ed aggiun­ge: «A pre­scin­de­re dal­la nostra dispo­si­zio­ne ver­so que­sti indi­vi­dui ed il loro impat­to sugli Sta­ti Uni­ti, temia­mo che la signo­ra Gal­lop rimar­rà mol­to delu­sa da que­sto suo ten­ta­ti­vo di otte­ne­re rispo­ste per via giu­di­zia­ria.»
La pro­fe­zia pes­si­mi­sta di Sterns è sta­ta sdram­ma­tiz­za­ta da Phil­lip L. Mar­cus, un avvo­ca­to del Mary­land, spe­cia­liz­za­to in pro­prie­tà intel­let­tua­le e leg­gi sul copy­right. Mar­cus ha discus­so con RAW STORY del caso Bivens vs. Six Unk­no­wn Fede­ral Nar­co­tics Agen­ts, un pro­ces­so in cui la Cor­te Supre­ma ha decre­ta­to che il gover­no può esse­re ogget­to di cau­se civi­li se si pre­fi­gu­ra la vio­la­zio­ne di un dirit­to costi­tu­zio­na­le, anche se non esi­ste alcu­no sta­tu­to fede­ra­le a sup­por­to di un’azione lega­le di que­sto tipo.
«La giu­ri­sdi­zio­ne è un gros­so osta­co­lo alla par­te lesa, ma ci sono due stra­de per aggi­rar­la» ha affer­ma­to Mar­cus, «la pri­ma è la Dot­tri­na Bivens (per cui, se i fat­ti dimo­stra­no una gra­ve tra­sgres­sio­ne da par­te di agen­ti fede­ra­li, esi­ste una sor­ta di giu­ri­sdi­zio­ne del dirit­to fede­ra­le; sen­za di essa, le vio­la­zio­ni del Bill of Rights non potreb­be­ro ogget­to di cau­sa civi­le) e la secon­da è la 28 USC sec. 1331, ovve­ro il Fede­ral Tort Claims Act (FTCA). Vea­le ha lan­cia­to accu­se straor­di­na­rie. Nor­mal­men­te, se ci si limi­ta a segna­la­re un quan­ti­ta­ti­vo suf­fi­cien­te di fat­ti signi­fi­ca­ti­vi, la cor­te non accet­ta una linea difen­si­va basa­ta sul­la giu­ri­sdi­zio­ne. Ma con acca­di­men­ti così sin­go­la­ri, il giu­di­ce vor­rà sta­bi­li­re se esi­sto­no le pro­ve neces­sa­rie per appli­ca­re la giu­ri­sdi­zio­ne Bivens o il FTCA, pri­ma di lascia­re che Vea­le pro­ce­da con quel­la che sarà un’indagine cono­sci­ti­va colos­sa­le – ton­nel­la­te di docu­men­ti, depo­si­zio­ni sot­to giu­ra­men­to di Che­ney, Rum­my e mol­ti altri, sia impu­ta­ti che sem­pli­ci testi­mo­ni. Scom­met­to che que­sta fac­cen­da pro­se­gui­rà per altri quat­tro o cin­que anni. Ci sarà mate­ria­le per mol­ti altri articoli.»

Segue il testo inte­gra­le dei pare­ri di entram­bi gli avvo­ca­ti sul­la cau­sa di April Gallop.

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In che cir­co­stan­ze gli Sta­ti Uni­ti o qual­cu­no dei suoi fun­zio­na­ri, agen­ti o impie­ga­ti pos­so­no esse­re rite­nu­ti civil­men­te respon­sa­bi­li in un tri­bu­na­le? Può il pote­re giu­di­zia­rio ricom­pen­sa­re i dan­ni in un pro­ces­so civi­le che mira a dimo­stra­re non tan­to l’erroneità dei com­por­ta­men­ti, ma l’attività cri­mi­na­le di mem­bri del gover­no?
Le rispo­ste a que­ste doman­de pos­so­no rive­lar­si com­ples­se, ma è chia­ro che la cau­sa del­la Gal­lop non ha mol­te chan­ce di suc­ces­so.
Que­sto pro­ces­so, che si svol­ge­rà nel Distret­to Orien­ta­le di New York, riflet­te le fru­stra­zio­ni di mol­tis­si­mi ame­ri­ca­ni. La don­na, infat­ti, chie­de i dan­ni al vice­pre­si­den­te in cari­ca Dick Che­ney, al mini­stro del­la Dife­sa Donald Rum­sfeld e ad altri, in rela­zio­ne agli even­ti dell’undici set­tem­bre 2001.
Le quin­di­ci pagi­ne del recla­mo sem­bra­no il pro­dot­to di un’indagine appro­fon­di­ta, che dimo­stra con dovi­zia di par­ti­co­la­ri l’esistenza di un’associazione a delin­que­re che coin­vol­ge gli impu­ta­ti. Que­sto soda­li­zio mira­va a cau­sa­re gli atten­ta­ti o per­met­te­re che aves­se­ro luo­go e ci col­pis­se­ro men­tre era­va­mo total­men­te impre­pa­ra­ti. Abbia­mo già svol­to pro­ces­si per asso­cia­zio­ne a delin­que­re e per­ma­ne un fon­do di dub­bio su cosa sia suc­ces­so quel gior­no e soprat­tut­to sul per­ché. È sta­to un pun­to di svol­ta posi­ti­vo per la pre­si­den­za Bush, che fino ad allo­ra si era dimo­stra­ta tutt’altro che note­vo­le, sopra­tut­to a cau­sa del­la sua con­tro­ver­sa asce­sa alla cari­ca pochi mesi pri­ma.
Comun­que, anche se si sot­to­scri­vo­no alcu­ne del­le cri­ti­che e del­le accu­se mos­se a Che­ney, Rum­sfeld e gli altri (curio­sa­men­te, Bush non vie­ne cita­to in cau­sa) per le loro atti­vi­tà in que­sti ulti­mi otto anni, e a pre­scin­de­re dal­la nostra dispo­si­zio­ne ver­so que­sti indi­vi­dui ed il loro impat­to sugli Sta­ti Uni­ti, temia­mo che la signo­ra Gal­lop rimar­rà mol­to delu­sa dal suo ten­ta­ti­vo di otte­ne­re rispo­ste per via giu­di­zia­ria. La cau­sa del­la Gal­lop ha un pre­ce­den­te simi­le. Sfor­tu­na­ta­men­te per la par­te lesa, può esse­re un indi­zio del suo desti­no. Si trat­ta del caso di Vale­rie Pla­me, un ex-agen­te del­la CIA la cui coper­tu­ra è sta­ta fat­ta sal­ta­re di pro­po­si­to da Dick Che­ney e, pro­ba­bil­men­te, altri fun­zio­na­ri del­la Casa Bian­ca. La rive­la­zio­ne è sta­ta una rap­pre­sa­glia per alcu­ne affer­ma­zio­ni poco gen­ti­li fat­te dal mari­to del­la Pla­me, il qua­le sta­va inda­gan­do sul­le affer­ma­zio­ni di Bush riguar­do all’ipotetico acqui­sto, da par­te di Sad­dam Hus­sein, di mate­rie pri­me per armi di distru­zio­ne di mas­sa da uno sta­to afri­ca­no. La Pla­me ha inten­ta­to una cau­sa con­tro Che­ney ed altri per aver­le distrut­to la car­rie­ra.
La cor­te ha sbri­ga­ti­va­men­te decre­ta­to che la cau­sa non ave­va alcun fon­da­men­to: le que­stio­ni poli­ti­che di que­sto tipo non fan­no par­te del­la rou­ti­ne pro­ces­sua­le. La cor­te ha inol­tre decre­ta­to che il vice­pre­si­den­te è immu­ne a tut­ti i livel­li per le atti­vi­tà che ha svol­to o che ha omes­so di svol­ge­re nell’esercizio del­le sue fun­zio­ni pub­bli­che. Un discor­so ana­lo­go vale, ovvia­men­te, anche per Bush sia duran­te che dopo il suo man­da­to.
Mi sem­bra chia­ro che nel caso del­la Gal­lop val­ga­no le mede­si­me con­si­de­ra­zio­ni e si otter­ran­no gli stes­si risul­ta­ti. La cor­te, in segui­to alla mozio­ne degli impu­ta­ti, stral­ce­rà la cau­sa con le mede­si­me argo­men­ta­zio­ni. A pre­scin­de­re dall’opinione che cia­scu­no di noi può ave­re di Dick Che­ney, — a cui talu­ni si rife­ri­sco­no con l’appellativo di "Prin­ci­pe del­le Tene­bre" o peg­gio — le sue azio­ni nell’esercizio del­le fun­zio­ni di vice­pre­si­den­te degli Sta­ti Uni­ti sono pro­tet­te dal­lo scru­ti­nio del pote­re giu­di­zia­rio. L’unica misu­ra per puni­re i fun­zio­na­ri inde­gni che la Costi­tu­zio­ne ci offre è l’impeachment.
Però que­sto non vuol dire che la cau­sa non pos­sa esse­re inten­ta­ta con­tro il gover­no. Si può fare e vie­ne fat­to ogni gior­no per un’ampia casi­sti­ca. Il nostro stu­dio lega­le ne ha con­dot­te mol­te con suc­ces­so. I tri­bu­na­li han­no decre­ta­to che gli Sta­ti Uni­ti godo­no di un’immunità gene­ra­liz­za­ta, ma i giu­di­ci pos­so­no non tener­ne con­to e per­met­te­re le cau­se, in con­for­mi­tà alle deci­sio­ni del Con­gres­so.
Un esem­pio clas­si­co è il Fede­ral Tort Claims Act del 1946, che auto­riz­za le cau­se civi­li con­tro gli Sta­ti Uni­ti per i dan­ni cau­sa­ti da atti o omis­sio­ni da par­te del gover­no, attra­ver­so i suoi agen­ti o le sue agen­zie, se tale con­dot­ta non è per­mes­sa dal­lo sta­to in cui l’atto o l’omissione ha avu­to luo­go.
Esi­sto­no alcu­ne ecce­zio­ni ed alcu­ne dife­se spe­cia­li a dispo­si­zio­ne del gover­no: prin­ci­pal­men­te la linea di dife­sa basa­ta sul­la Fun­zio­ne Discre­zio­na­le, che pro­teg­ge gli impie­ga­ti del gover­no, pre­si­den­te com­pre­so. Può esse­re appli­ca­ta quan­do l’esercizio del­la discre­zio­na­li­tà ha avu­to riper­cus­sio­ni che in segui­to si sono rive­la­te nega­ti­ve. Per esem­pio, que­sta linea di dife­sa ha pro­tet­to gli Sta­ti Uni­ti da ogni respon­sa­bi­li­tà sugli atten­ta­ti alle amba­scia­te ame­ri­ca­ne in Kenya e Tan­za­nia del 1998. Ma la lot­ta continua.

Gerald A. Sterns, Esq.
Sterns & Wal­ker
www.Trial-Law.com

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Que­sta non è una sem­pli­ce accu­sa di negli­gen­za.
Vea­le fa a bran­del­li l’argomentazione giu­ri­sdi­zio­na­le nel para­gra­fo 8 del recla­mo. Dovre­ste leg­ge­re qual­co­sa sul caso Bivens. La giu­ri­sdi­zio­ne è un gros­so osta­co­lo alla par­te lesa, ma ci sono due stra­de per aggi­rar­la: la pri­ma è la Dot­tri­na Bivens (per cui, se i fat­ti dimo­stra­no una gra­ve tra­sgres­sio­ne da par­te di agen­ti fede­ra­li, esi­ste una sor­ta di giu­ri­sdi­zio­ne del dirit­to fede­ra­le; sen­za di essa, le vio­la­zio­ni del Bill of Rights non potreb­be­ro ogget­to di cau­sa civi­le) e la secon­da è la 28 USC sec. 1331, ovve­ro il Fede­ral Tort Claims Act. Vea­le ha lan­cia­to accu­se straor­di­na­rie. Di soli­to, se ci si limi­ta a segna­la­re un quan­ti­ta­ti­vo suf­fi­cien­te di fat­ti signi­fi­ca­ti­vi, la cor­te non accet­ta una linea difen­si­va basa­ta sul­la giu­ri­sdi­zio­ne. Ma con acca­di­men­ti così sin­go­la­ri, il giu­di­ce vor­rà sta­bi­li­re se esi­sto­no le pro­ve neces­sa­rie per appli­ca­re la giu­ri­sdi­zio­ne Bivens o la FTCA, pri­ma di lascia­re che Vea­le pro­ce­da con quel­la che sarà un’indagine cono­sci­ti­va colos­sa­le – ton­nel­la­te di docu­men­ti, depo­si­zio­ni sot­to giu­ra­men­to di Che­ney, Rum­my e mol­ti altri, sia impu­ta­ti che sem­pli­ci testi­mo­ni.
Que­sto pro­ces­so mi ricor­da il caso Hat­fill, il tizio che era "d’interesse" nel­la fac­cen­da del­le buste all’antrace e poi non lo era più. Ma stia­mo par­lan­do di un altro distret­to. Vea­le svol­ge la sua cau­sa nel distret­to meri­dio­na­le di New York, men­tre Hat­fill era da tutt’altra par­te. Scom­met­to che que­sta cau­sa pro­se­gui­rà per altri quat­tro o cin­que anni. Ci sarà mate­ria­le per mol­ti altri articoli.

–Phi­lip L. Mar­cus, Esq.
Busi­ness Nego­tia­tions & Agree­men­ts & Intel­lec­tual Pro­per­ty
www.negotiationpro.com

Fon­te: Ste­phen C. Web­ster
18 dicem­bre 2008
Link: http://rawstory.com/news/2008/Legal_minds_respond_to_landmark_911_1218.html
Tito­lo nell’originale: “Legal minds respond to land­mark 9/11 civil suit again­st Rum­sfeld, Cheney”.
21
Giu
2009

La Fine di Cthulhu — Volume 1


La Fine di Cthu­lhu
(The Fall Of Cthu­lhu in ori­gi­na­le) è un fumet­to che si ispi­ra libe­ra­men­te alla mito­lo­gia di Howard Phil­lips Love­craft, aggior­nan­do­la al pre­sen­te e ad uno sti­le nar­ra­ti­vo che oscil­la tra psi­co­dram­ma e detec­ti­ve story.
Que­sto pri­mo volu­me del­la saga segue le vicen­de di Cy, uno stu­den­te uni­ver­si­ta­rio che, in segui­to al miste­rio­so sui­ci­dio di suo zio, rima­ne invi­schia­to in una guer­ra segre­ta tra cul­ti­sti di divi­ni­tà mostruose.
Tra­dur­lo è sta­to un vero pia­ce­re: nono­stan­te il set­ting e la tra­ma segua­no più i cano­ni del­la nar­ra­zio­ne hol­ly­woo­dia­na che le pom­po­se impal­ca­tu­re let­te­ra­rie del Soli­ta­rio di Pro­vi­den­ce, gli auto­ri sono comun­que riu­sci­ti a man­te­re il sapo­re che ha reso cele­bre in tut­to il mon­do la cosmo­lo­gia cthulhoide.
In Ita­lia è pub­bli­ca­to dal­la Free­books, men­tre la sua edi­zio­ne ori­gi­na­le è a cura del­la Boom! Stu­dios. Quest'ultima casa edi­tri­ce (e, di con­se­guen­za, anche la con­tro­par­te ita­lia­na) ha un approc­cio inte­res­san­te al fumet­to. Stan­chi del­la tsu­na­mi di fumet­ti supe­re­roi­sti­ci che ha tra­vol­to il fumet­to sta­tu­ni­ten­se, i suoi fon­da­to­ri han­no deci­so di con­cen­trar­si su quel­lo che riten­go­no esse­re il "vero main­stream": la glo­rio­sa nar­ra­zio­ne popo­la­re che spo­po­la (appun­to) nel mon­do del cine­ma, del­la let­te­ra­tu­ra e del­le altre for­me di intrat­te­ni­men­to non fumet­ti­sti­co. I volu­mi del­la Boom! Stu­dios sono spes­so mini­se­rie a fumet­ti d'orrore, di fan­ta­scien­za, com­me­die o dram­mi socia­li. Non seguo­no le avven­tu­re di un soli­ta­rio eroe, ma han­no il respi­ro di un bloc­k­bu­ster cine­ma­to­gra­fi­co. Una casa edi­tri­ce che segui­rò con interesse.

La Fine di Cthu­lhu — Volu­me 1
Scrit­to da: Micheal Alan Nelson
Dise­gna­to da: Jean Dzialowski
Edi­to da: Free­books
136 pagi­ne a colori
12,90€

Acqui­sta­lo sul sito del­la Freebooks