21
Giu
2009

Descartes a mano armata

(Pub­bli­ca­to su Teo­re­ma — Rivi­sta sar­da di cine­ma n°4, novem­bre 2006)


Si con­ti­nua a par­la­re di Bla­de Run­ner, il capo­la­vo­ro di Rid­ley Scott che segui­ta a ricom­bi­nar­si e tra­sfor­mar­si in “ver­sio­ni” sem­pre più aggior­na­te, come un soft­ware. O un repli­can­te. Pro­iet­ta­to in ante­pri­ma asso­lu­ta alla 64° Mostra Inter­na­zio­na­le del Cine­ma di Vene­zia, Bla­de Run­ner: The Final Cut é la ter­za incar­na­zio­ne del capo­la­vo­ro che ha scrit­to le rego­le del­la nuo­va scien­ce fiction,colpendo come un maglio il pub­bli­co igna­ro che, nel 1982, anco­ra dor­mi­va sot­to il sor­ti­le­gio del­la fan­ta­scien­za main­stream. Si è con­trap­po­sto a psi­co­lo­gie car­to­na­te e gio­chi di pre­sti­gio in CGI, pro­iet­tan­do­ci in un incu­bo cyber­punk in cui ad un alta tec­no­lo­gia cor­ri­spon­de un valo­re del­la vita pres­so­ché ine­si­sten­te. Bla­de Run­ner è un tech-noir che rac­con­ta la sto­ria di Dec­kard, un cac­cia­to­re di androi­di assol­da­to da una mega­cor­po­ra­zio­ne per sco­va­re e “riti­ra­re” quat­tro repli­can­ti fuo­ri con­trol­lo. Che nel­la neo­lin­gua del 2019 signi­fi­ca ucci­de­re, se si può vera­men­te ucci­de­re quel­lo che la per­ce­zio­ne pub­bli­ca vede come un bene di consumo.
Paral­le­la­men­te, il film rac­con­ta la sto­ria degli androi­di rin­ne­ga­ti, pia­ga­ti da una vita arti­fi­cial­men­te abbre­via­ta ed un'ansia osses­si­va di incon­tra­re il loro Crea­to­re: Tyrell, un incro­cio tra Bill Gates e il dot­tor Frank­en­stein, pro­dut­to­re di schia­vi sin­te­ti­ci a bas­so costo. Ma Bla­de Run­ner va mol­to oltre Mary Shel­ley: in que­sto film, la crea­zio­ne di esse­ri uma­ni arti­fi­cia­li è già mas­si­fi­ca­ta, bana­liz­za­ta, com­mer­cia­liz­za­ta. L'uomo cono­sce da tem­po “cose che non era desti­na­to a sape­re” ed é chia­ro come l’esistenza di limi­ti sacri alla por­ta­ta del­la tec­no­lo­gia sia una sem­pli­ce illu­sio­ne. Il pen­sie­ro stes­so, nell'era post-infor­ma­ti­ca, é un pro­ces­so codi­fi­ca­bi­le e repli­ca­bi­le su sca­la industriale.
Su que­ste basi, i repli­can­ti riven­di­ca­no la loro uma­ni­tà, al mot­to di Cogi­to Ergo Sum (è signi­fi­ca­ti­vo che il nome del­la loro neme­si, Dec­kard, suo­ni nel­la pro­nun­cia ame­ri­ca­na iden­ti­co a Descar­tes). Bla­de Run­ner por­tò la fan­ta­scien­za ad un livel­lo più pri­ma­rio, fero­ce, psi­chi­co. E' guer­ri­glia onto­lo­gi­ca, spro­fon­da­ta in incu­bo urba­no monu­men­ta­le e glo­ba­liz­za­to. Come direb­be Frank Lloyd Wright, la Los Ange­les del film da “l'illusione che gli ame­ri­ca­ni deb­ba­no esse­re un gran­de popo­lo per aver innal­za­to, e ad una simi­le altezza,questo pesan­te sbar­ra­men­to di trap­po­le com­mer­cia­li per l'uomo”. Soprat­tut­to in quel mon­do, in cui il limi­te tra Dio ed il Capi­ta­li­smo appa­re ter­ri­bil­men­te sfuo­ca­to. Nel 1992, la pro­du­zio­ne tro­vò oppor­tu­no rea­liz­za­re un Director's Cut, per ade­gua­re l'opera ad un gusto più moder­no (il pub­bli­co lo chia­ma­va Bla­de Crawler,che signi­fi­ca “stri­scian­te”). Trop­po len­to. Trop­po retrò. Indi­ge­ri­bi­le per gli sto­ma­ci adre­na­li­ni­ci del­la nostra mono­cul­tu­ra, che divo­ra, assor­be e rici­cla ogni uni­ver­so eso­ti­co e lo rispu­ta nor­ma­liz­za­to alle rego­le del mer­ca­to. Rid­ley Scott super­vi­sio­nò il pro­get­to in manie­ra super­fi­cia­le e la lavo­ra­zio­ne fu piut­to­sto sbri­ga­ti­va, ma non intac­cò l'opera. La ampli­fi­cò. Il Director's Cut aggiun­se nuo­vi stra­ti con­cet­tua­li, mag­gio­ri ambi­gui­tà, più rit­mo. Il nostro Descar­tes Con Pisto­la fu radi­cal­men­te rivi­sto, lascian­do­ci inten­de­re che anche lui potreb­be esse­re un repli­can­te. Le basi su cui pog­gia­va la nostra inter­pre­ta­zio­ne del film eva­po­ra­ro­no, lascian­do­ci per­si in un mare di spec­chi ed ambiguità.
Ed ecco­ci al 2007, un anno che ha dato mol­to alle fran­ge luna­ti­che del­la fan­ta­scien­za. Dopo set­te anni di bat­ta­glie lega­li, Bla­de Run­ner: The Final Cut sbar­ca a Vene­zia e si ricon­fer­ma, se anco­ra ce ne fos­se biso­gno, come pos­si­bi­le pun­to di par­ten­za del pen­sie­ro pop del 21° seco­lo. E' una super­com­pres­sio­ne di Badruil­lard, una velo­ce dose di post­mo­der­ni­smo taglia­to con robu­sto pulp. Il Final Cut non alte­ra sostan­zial­men­te il film, ma cor­reg­ge alcu­ne stor­tu­re di mon­tag­gio dovu­te alla rea­liz­za­zio­ne pre­ci­pi­to­sa del­la pre­ce­den­te ver­sio­ne. Imma­gi­no che, veden­do­ci attra­ver­so la mem­bra­na del­lo scher­mo cine­ma­to­gra­fi­co, quest'opera non pos­sa che sog­ghi­gna­re sini­stra­men­te: con il pas­sa­re del tem­po le asso­mi­glia­mo sem­pre di più. Una del­le sue colon­ne por­tan­ti, a livel­lo nar­ra­ti­vo, è il Meto­do Voight­Kam­pf. Con que­sto test, i cac­cia­to­ri di androi­di sono capa­ci di distin­gue­re i repli­can­ti dagli esse­ri uma­ni. Li pon­go­no sot­to stress emo­ti­vo con doman­de e rac­con­ti tru­cu­len­ti per poi misu­rar­ne le rea­zio­ni emo­ti­ve: solo gli esse­ri uma­ni “inau­ten­ti­ci” non pro­va­no empa­tia. L'intero film ci spin­ge ad iden­ti­fi­car­ci negli androi­di e met­te alla pro­va le nostre emo­zio­ni. E' un test Voight­Kam­pf. La cavia sei tu.
Que­sto tipo di meta­nar­ra­zio­ne, che si rifà diret­ta­men­te al con­cet­to di “iper­real­tà” post­mo­der­no, è la chia­ve di let­tu­ra pri­vi­le­gia­ta per chiun­que voglia spin­ger­si oltre il film e ricer­car­ne le pro­fon­de radi­ci. Quan­do, ven­ti­cin­que anni fa, Bla­de Run­ner si impo­se nell'immaginario col­let­ti­vo, ci ven­ne det­to che era trat­to da un oscu­ro e qua­si sco­no­sciu­to roman­zet­to di un auto­re pulp. Un tipo stra­no, che scri­ve­va ope­re con tito­li come Gli Androi­di Sogna­no Peco­re Elet­tri­che? (1965) e pas­sò tut­ta la vita a descri­ve­re le real­tà arti­fi­cia­li di cui ave­va pau­ra. Par­lia­mo di Phi­lip K. Dick. Una velo­ce inda­gi­ne nel­la mito­lo­gia per­so­na­le dell'allora ano­ni­mo auto­re, ci mostra uno scrit­to­re di scien­ce fic­tion popo­la­re che snif­fa­va speed quo­ti­dia­na­men­te ed era con­vin­to che l'FBI lo spias­se. Lascia­va del­le pic­co­le note sot­to il bido­ne del­la spaz­za­tu­ra davan­ti al suo domi­ci­lio, in cui denun­cia­va i suoi ami­ci e cono­scen­ti alle pre­sun­te for­ze dell'ordine che avreb­be­ro dovu­to riti­ra­re il “mate­ria­le scot­tan­te”. Lavo­ra­va in manie­ra fre­ne­ti­ca, con pic­chi di 4 libri all'anno e ses­sion di scrit­tu­ra di 96 ore fila­te. Quan­do abban­do­nò il pia­ne­ta ter­ra, si lasciò alle spal­le cin­que ex-mogli, 121 sto­rie bre­vi, una ses­san­ti­na di roman­zi ed un dia­rio per­so­na­le di 8000 pagi­ne, in cui era­no anno­ta­ti minu­zio­sa­men­te i mes­sag­gi che Dio gli spe­dì attra­ver­so un rag­gio laser rosa. O, alme­no, que­sto è ciò che credeva.
Phi­lip K. Dick vive­va in un mon­do di sua crea­zio­ne, in cui il pro­gres­so tec­no­lo­gi­co, il mer­ca­to, la reli­gio­ne e i mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne di mas­sa era­no mischia­ti in un cock­tail esplo­si­vo che distrug­ge ogni pre­te­sa di real­tà ogget­ti­va ed eli­mi­na ogni liber­tà. Sia chia­ro, era un mania­co. Ed è per que­sto che ci somi­glia. Phi­lip K. Dick vive­va e com­men­ta­va il 21° seco­lo con cinquant'anni d'anticipo. Il roman­zo da cui ha avu­to ori­gi­ne Bla­de Run­ner con­tie­ne, in nuce, tut­ti i pro­ble­mi che la fan­ta­scien­za e la moder­ni­tà stan­no anco­ra lot­tan­do per com­pren­de­re e supe­ra­re. Men­tre scri­vo, tec­ni­ci zelan­ti di San Die­go pro­du­co­no cro­mo­so­mi arti­fi­cia­li, che por­te­ran­no pri­ma o poi alla crea­zio­ne di veri e pro­pri repli­can­ti. Chiun­que può col­le­gar­si ad inter­net e vive­re la pro­pria vita nel mon­do simu­la­to di Second Life. E' in cor­so una guer­ra di cui noi non sap­pia­mo nien­te, se non ciò che ci vie­ne mostra­to attra­ver­so la tele­vi­sio­ne da abi­li mani­po­la­to­ri embed­ded. Tut­te que­ste tema­ti­che, e altre mil­le, sono facil­men­te indi­vi­dua­bi­li tra le righe del­lo scrit­to­re “paz­zo”, che ha intui­ti­va­men­te affer­ra­to l'odierna ani­ma mun­di post­mo­der­na. Leg­gia­mo nel suo dia­rio per­so­na­le, scrit­to a quat­tro mani con Dio (o chi per lui): “Il mon­do è un olo­gram­ma. Noi sia­mo ipo­sta­si d'informazione, codi­fi­ca­te in un lin­guag­gio che abbia­mo per­so l'abilità di decifrare”.Questo concetto,ripreso osses­si­va­men­te in deci­ne di sto­rie bre­vi e roman­zi, costi­tui­sce il nuo­vo para­dig­ma del­la fan­ta­scien­za, popo­la­riz­za­to da film come The Matrix.
Per tut­ta la vita Phi­lip Dick, come Dec­kard, ten­tò di distin­gue­re le real­tà arti­fi­cia­li da quel­le pro­fon­da­men­te uma­ne. Attra­ver­so la let­te­ra­tu­ra, il suo per­so­na­le Meto­do Voight-Kam­pf, indi­vi­duò la scin­til­la dell'empatia come uni­co discri­mi­ne tra uomi­ni e auto­mi. Asse­dia­ti da una real­tà fol­le, effi­me­ra e vuo­ta, sot­to­po­sti al gio­go men­ta­le del­la pro­pa­gan­da e del mar­ke­ting, pos­sia­mo solo strin­ger­ci tra noi, socia­liz­za­re. E resi­ste­re. Per­ché, come dis­se nel 1972, “in una socie­tà tota­li­ta­ria in cui la casta è onni­po­ten­te, i valo­ri fon­da­men­ta­li del vero esse­re uma­no sono: imbro­glia­re, men­ti­re, eva­de­re, fal­si­fi­ca­re, esse­re ovun­que, fre­ga­re la tec­no­lo­gia del­le auto­ri­tà con appa­rec­chi costrui­ti nel pro­prio gara­ge”. Nel 2007, in coin­ci­den­za con la pro­ie­zio­ne vene­zia­na di The Final Cut, la Libra­ry Of Ame­ri­ca pub­bli­ca per la pri­ma vol­ta i roman­zi di Phi­lip K. Dick, facen­do­lo defi­ni­ti­va­men­te entra­re nel pan­theon dell'alta let­te­ra­tu­ra. Il pro­fe­ta paz­zo ha vaga­to come un noma­de onto­lo­gi­co tra divi­ni­tà, pote­re ed indi­vi­dua­li­tà, alla ricer­ca di trap­po­le nel tea­tro del mon­do. La sua sag­gez­za con­si­ste nel­la ricer­ca del­la cono­scen­za, l'inarrestabile dub­bio car­te­sia­no che dis­sol­ve le pro­prie cer­tez­ze nel­la ricer­ca del­la veri­tà. Dick ama­va la poe­sia dell'autore set­te­cen­te­sco Hen­ry Vau­ghan. Come sot­to­li­nea Erik Davies, pos­sia­mo tro­var­lo negli ulti­mi ver­si dell'Uomo: “Con la sua tur­bi­nan­te ricer­ca, l'uomo è la spo­la a cui Dio impo­se il moto, ma non la quiete.”