19
Ott
2013

"Quando Tutto Tace" di Alessandro De Roma, un'analisi

[Oggi, con il leg­ge­ris­si­mo ritar­do di un anno e die­ci mesi, mi sono reso con­to che Ales­san­dro De Roma ha pub­bli­ca­to sul suo sito la tra­scri­zio­ne di una pre­sen­ta­zio­ne che feci del suo libro Quan­do Tut­to Tace nel 2011. Lo rin­gra­zio per le sue gen­ti­li paro­le e per aver sal­va­to il testo, i cui appun­ti ori­gi­na­li sono per­si nell'aldilà digi­ta­le del mio vec­chio Mac. Lo ripub­bli­co qui, per far­lo entra­re nel mio archi­vio. Mi per­do­ne­re­te per il tono a trat­ti leg­ge­ro dell'analisi, ma è sta­ta con­ce­pi­ta per una pre­sen­ta­zio­ne ora­le e non scritta.]

Quel­la che farò è una let­tu­ra o inter­pre­ta­zio­ne di Quan­do Tut­to Tace, scrit­to da Ales­san­dro De Roma, attra­ver­so l’analisi dei tre per­so­nag­gi prin­ci­pa­li e del­le tema­ti­che che incar­na­no, fina­liz­za­ta a sot­to­li­nea­re come que­sto roman­zo pos­sa esse­re let­to come la foto­gra­fia di un pro­ces­so cul­tu­ra­le in atto in Ita­lia. Cioè la mor­te degli anni ’80 nel­la nostra men­te col­let­ti­va oppu­re, se non il loro defi­ni­ti­vo supe­ra­men­to, alme­no la per­ma­nen­za dei loro effet­ti mor­ti­fe­ri. Con il ter­mi­ne “anni ’80″ voglio inten­de­re quel com­ples­so di idee che, a livel­lo cul­tu­ra­le alto, sono rap­pre­sen­ta­te dal post­mo­der­ni­smo e, ad un livel­lo meno eli­ta­rio, dal­la socie­tà del­lo spet­ta­co­lo. In que­sto per­cor­so men­ta­le sarò accom­pa­gna­to da Phi­lip K. Dick: è il mio ani­ma­le tote­mi­co. Quin­di imma­gi­na­te che il suo fan­ta­sma aleg­gi pro­prio ora in que­sta sala. Nono­stan­te Quan­do Tut­to Tace sia un libro scrit­to in sti­le post­mo­der­no, mi sem­bra che nuo­ti in quel fiu­me, ma lo fac­cia con­tro­cor­ren­te: è da que­sto attri­to che emer­ge la mia chia­ve d’interpretazione del testo.

Tere­sa de Caro­lis — Il valo­re dell’empatia

Il libro si apre con un dia­lo­go tra un’angelo dall’aspetto sgra­de­vo­le, chia­ma­to Tere­sa, e l’autore del roman­zo stes­so. Più che un dia­lo­go è un liti­gio sul­le moda­li­tà di crea­zio­ne di Tere­sa. Come gli androi­di di Bla­de Run­ner, quin­di, fin dal pri­mo momen­to in cui appa­re, Tere­sa è un per­so­nag­gio mani­fe­sta­men­te arti­fi­cia­le, crea­to dal suo Dio (ovve­ro De Roma) per assol­ve­re ad uno sco­po spe­ci­fi­co. Simil­men­te agli androi­di dic­kia­ni, si ren­de con­to di que­sto sta­to di cose e, per­ciò, disprez­za il suo crea­to­re per l’evidente imper­fe­zio­ne del­la sua ope­ra: Tere­sa è zop­pa, ha un sor­ri­so vaga­men­te disgu­sto­so ed altre ame­ni­tà che le ven­go­no ricor­da­te con­ti­nua­men­te da tut­ti i per­so­nag­gi e per­fi­no dall’autore del libro, quan­do inter­vie­ne nel­la nar­ra­zio­ne in pri­ma per­so­na. Tere­sa ha una filo­so­fia estre­ma­men­te dic­kia­na: anche lei è con­vin­ta che il suo mon­do sia una pri­gio­ne illu­so­ria crea­ta da un Dio o Demiur­go mal­va­gio (e par­lia­mo sem­pre del mal­va­gio De Roma) per tor­tu­ra­re lei e gli altri per­so­nag­gi. Que­sti sono i car­di­ni di una con­ce­zio­ne del­la real­tà mol­to anti­ca: sono le basi teo­lo­gi­che del­la cor­ren­te gno­sti­ca del cri­stia­ne­si­mo, che anda­va mol­to di moda (sic) nel Ter­zo Seco­lo dopo cri­sto. Gli gno­sti­ci sono sta­ti i pri­mi post­mo­der­ni: ad esem­pio, era loro abi­tu­di­ne riscri­ve­re i miti cri­stia­ni cam­bian­do­ne il pun­to di vista, come ad esem­pio la Gene­si vista dal­la pro­spet­ti­va del ser­pen­te o altre ini­zia­ti­ve let­te­ra­rie simi­li. Sono sta­ti i pri­mi a son­da­re l’aspetto meta­let­te­ra­rio del­la scrit­tu­ra e a por­re le fon­da­men­ta del gene­re let­te­ra­rio di cui anche Quan­do Tut­to Tace fa par­te. Poi i cat­to­li­ci li han­no ster­mi­na­ti per una fac­cen­da di sol­di e que­sto è uno dei moti­vi per cui Ales­san­dro De Roma non è il papa. Comun­que, la loro visio­ne del mon­do coin­ci­de in vari pun­ti con quel­la di Phi­lip K. Dick e di Tere­sa, entram­bi con­vin­ti di esse­re intrap­po­la­ti in una gab­bia di men­zo­gne da un Demiur­go malvagio.
La dif­fe­ren­za fon­da­men­ta­le tra gli androi­di di Bla­de Run­ner e Tere­sa è che quest’ultima è un ange­lo, nel sen­so let­te­ra­le del ter­mi­ne. Ciò le con­fe­ri­sce il dono dell’empatia, dell’amore incon­di­zio­na­to. Ed il suo com­por­ta­men­to nel­le varie vicen­de del libro con­fer­ma quan­to scrit­to da Dick nel suo sag­gio How to Build a Uni­ver­se That Doesn’t Fall Apart Two Days Later e cioè che, in un uni­ver­so arti­fi­cia­le, in cui i padro­ni sono mal­va­gi, imper­scru­ta­bi­li ed onni­po­ten­ti, ciò che con­trad­di­stin­gue il vero esse­re uma­no dai repli­can­ti (cioè gli uomi­ni “fin­ti”) è la sua capa­ci­tà di per­ce­pi­re ed imme­de­si­mar­si nel­le emo­zio­ni altrui: l’empatia, trat­to carat­te­ria­le domi­nan­te in Tere­sa. Quin­di ci tro­via­mo col bel para­dos­so di ave­re un per­so­nag­gio con­sa­pe­vo­le di esse­re “fin­to” ma dota­to dell’unica carat­te­ri­sti­ca dell’essere uma­no “vero”. E la pos­sie­de in dosi mol­to mag­gio­ri di tut­ti gli altri per­so­nag­gi, i qua­li, in linea teo­ri­ca, dovreb­be­ro esse­re comu­ni mortali.
Qual’è il com­pi­to di Tere­sa, affi­da­to­le dal Demiur­go-De Roma? Con­dur­re una lun­ga inter­vi­sta all’ex-musicista di bas­sa lega e pre­sen­ta­to­re Nel­lo Bru­ni. Ritor­nia­mo a Bla­de Run­ner: chi lo ha visto sa che che il mestie­re del pro­ta­go­ni­sta Dec­kard con­si­ste pro­prio nell’”intervistare” per­so­ne sospet­te di esse­re androi­di, misu­rar­ne le rea­zio­ni e deter­mi­na­re se sia­no vera­men­te degli esse­ri uma­ni. Que­sto è ciò che Tere­sa fa con Nel­lo: le doman­de da lei poste, che costel­la­no il libro, han­no come obiet­ti­vo quel­lo di far sì che Nel­lo si scuo­ta dal suo tor­po­re e dal­la sua rou­ti­ne, affron­ti la sua vita, e tor­ni ad esse­re un uomo nel sen­so più pie­no del ter­mi­ne. Pos­sia­mo vede­re Tere­sa come una sor­ta di Socra­te, che spin­ge maieu­ti­ca­men­te Nel­lo a sve­gliar­si dal suo sonno.

Nel­lo Bru­ni — La socie­tà del­lo spettacolo

 


Nel­lo, al con­tra­rio di Tere­sa, non ha idea del­la sua natu­ra let­te­ra­ria. È un ex-can­tan­te del­la band I Cuc­cio­li di Tigre, fie­ro del­le sue par­te­ci­pa­zio­ni a San Remo. E’ un ex ven­di­to­re di pen­to­le, pro­dut­to­re ese­cu­ti­vo di show ed agen­te tele­vi­si­vo. Quan­do il libro comin­cia, è ormai nel­la sua fase deca­den­te. Ormai vec­chio, dopo esser­si ritro­va­to solo al mon­do per col­pa del desti­no e del­la sua con­dot­ta allu­ci­nan­te, dopo aver per­so la fama ed il dena­ro, si è chiu­so nel suo appar­ta­men­to e con­tem­pla il sui­ci­dio. E’ tor­men­ta­to da una depres­sio­ne feno­me­na­le ed un sen­so di inu­ti­li­tà che sca­tu­ri­sce dal­le gio­ie effi­me­re dell’attrezzo a cui ha dedi­ca­to la vita: la tele­vi­sio­ne. I suoi tra­scor­si “arti­sti­ci”, se così li pos­sia­mo chia­ma­re, sono rie­vo­ca­ti nell’intervista con­dot­ta da Tere­sa. E’ una vita ste­ri­le e super­fi­cia­le, domi­na­ta dall’amore per il ses­so ed il dena­ro. Nel­lo è il figlio pre­di­let­to del­la socie­tà del­lo spet­ta­co­lo, un pro­dot­to da com­pra­re e ven­de­re come le pen­to­le che ten­ta di spac­cia­re in tele­vi­sio­ne. Dal­la rico­stru­zio­ne del mon­do tele­vi­si­vo attua­ta da De Roma, appa­re evi­den­te che, come dice­va Bur­rou­ghs, “simil­men­te all’eroina, l’intrattenimento è il pro­dot­to idea­le in un regi­me capi­ta­li­sti­co, per­ché è una mer­ce che non vie­ne ven­du­ta ad un clien­te: al con­tra­rio, è il clien­te ad esse­re ven­du­to alla mer­ce. In que­sti due casi, non è il pro­dot­to ad esse­re sem­pli­fi­ca­to e miglio­ra­to (secon­do i clas­si­ci miti del­la con­cor­ren­za), ma i clien­ti ad esse­re degradati”.
E, su que­sto pun­to, nono­stan­te il libro fac­cia una meti­co­lo­sa ana­li­si del­le dina­mi­che tele­vi­si­ve e del­la schia­vi­tù squal­li­da del­la fama, pre­fe­ri­sco non dilun­gar­mi per­ché il roman­zo lo fa in manie­ra più bril­lan­te di quan­to lo potrei fare io. Comun­que, anche Nel­lo, sot­to stra­ti di rim­pian­ti, rimor­si, fru­stra­zio­ne e deca­den­za, ha una scin­til­la vita­le che gli per­met­te di intui­re il gran­de sche­ma del­le cose. Que­sto è uno scam­bio di bat­tu­te tra lui e Tere­sa: (Tere­sa par­la) “Come se qual­cu­no si stes­se diver­ten­do alle nostre spal­le?” con­ti­nua, “come se ci faces­se­ro uno scher­zo.” (E lui) “Un Dio Mal­va­gio che ha crea­to il mondo.”
Inol­tre, capi­sce che c’è un ele­men­to man­can­te nel­la sua uma­ni­tà, e la com­pren­sio­ne di ciò avver­rà man mano che la sto­ria si svi­lup­pa e tut­ti i pez­zi del puzz­le cado­no al loro posto. Per­ché, come tut­ti i libri post­mo­der­ni, anche Quan­do Tut­to Tace è un puzz­le. Cio­no­no­stan­te, ha uno svol­gi­men­to intri­gan­te e con­tro­cor­ren­te: per­ché, man mano che il mon­do di que­sto libro vie­ne costrui­to, ini­zia anche a disgre­gar­si. E que­sto è il momen­to per il gran­de ritor­no di Dick, con un pic­co­lo bra­no che par­la del pic­co­lo scher­mo, par­la di Nel­lo e par­la del mon­do di que­sto roman­zo: “Cos’è la real­tà? Sia­mo bom­bar­da­ti da pseu­do real­tà costrui­te da per­so­ne mol­to sofi­sti­ca­te con attrez­zi elet­tro­ni­ci mol­to sofi­sti­ca­ti. Non mi fido del­le loro moti­va­zio­ni e non mi fido del loro pote­re. Han­no un pote­re straor­di­na­rio: quel­lo di crea­re uni­ver­si del­la men­te. E lo so, per­ché anch’io fac­cio la stes­sa cosa. E lo fac­cio in modo tale che non col­las­si­no dopo due gior­ni. Ma vi voglio rive­la­re un segre­to: vi ho men­ti­to. In real­tà, mi pia­ce pro­prio costrui­re uni­ver­si che col­las­sa­no dopo due gior­ni. Ho un amo­re segre­to per il caos. Dovreb­be esser­ce­ne di più. Io cre­do, e sono mor­tal­men­te serio quan­do lo dico, che non biso­gna pen­sa­re che l’ordine e la sta­bi­li­tà sia­no sem­pre oppor­tu­ni o posi­ti­vi, sia in un uni­ver­so che in una socie­tà. Ciò che è vec­chio ed ossi­fi­ca­to deve dare spa­zio a nuo­va vita e la nasci­ta di nuo­ve real­tà. Que­sta è una veri­tà peri­co­lo­sa, per­ché ci dice che dob­bia­mo, pri­ma o poi, abban­do­na­re ciò che ci è fami­lia­re. E que­sto fa male, ma è par­te del­la sce­neg­gia­tu­ra del­la vita. Se ci rifiu­tia­mo di far­lo, ini­zia­mo a mori­re interiormente.”
Ed è esat­ta­men­te que­sto il dilem­ma, arri­va­to ai gior­ni del­la sua vec­chia­ia, che Nel­lo dovrà affron­ta­re per ritro­va­re la sua uma­ni­tà. For­tu­na­ta­men­te, ha un ange­lo dal­la sua par­te. Dovrà fare il pos­si­bi­le per emer­ge­re, anche psi­co­lo­gi­ca­men­te, dal mon­do di spec­chi del­la socie­tà del­lo spet­ta­co­lo e sco­pri­re l’aria fre­sca che si respi­ra fuo­ri dal pic­co­lo schermo.

Simo­ne Costa — Le gab­bie nel tea­tro del mondo

 


All’interno del roman­zo, Simo­ne Costa è uno degli ami­ci sto­ri­ci di Nel­lo Bru­ni, lega­to a lui da un rap­por­to com­ples­so e pro­ble­ma­ti­co. Comun­que, non è su que­sto che mi voglio sof­fer­ma­re. Simo­ne Costa è per mol­ti ver­si ico­ni­co del­la clas­se intel­let­tua­le ita­lia­na. È nar­ci­si­sta, arro­gan­te, cini­co. È un’intellettualoide fumo­so e per­fet­ta­men­te inte­gra­to alla mac­chi­na del pote­re cato­di­ca. La sua cul­tu­ra è più un anal­ge­si­co o una razio­na­liz­za­zio­ne del­la sua stes­sa meschi­ni­tà che un moto­re di evo­lu­zio­ne per­so­na­le e socia­le. Da que­sto pun­to di vista, è una rap­pre­sen­ta­zio­ne dell’intellettuale “di regi­me” o più sem­pli­ce­men­te “para­cu­lo”. Simo­ne Costa affron­ta in manie­ra diret­ta, all’interno del libro, i pro­ble­mi del post­mo­der­no, que­sta ver­sio­ne cul­tu­ral­men­te avan­za­ta del­la ideo­lo­gia del­la socie­tà del­lo spettacolo.
Simo­ne Costa dice, citan­do Umber­to Eco, in un pun­to salien­te del roman­zo: «Chi dice “ti amo dispe­ra­ta­men­te” sa che lo ha già det­to Lia­la in tut­ti i suoi libret­ti sen­ti­men­ta­li e allo­ra, ecco che a quel “dispe­ra­ta­men­te”, non può che sor­ri­de­re con spi­ri­to: alme­no il tan­to che basta per far capi­re all’amato, o all’amata, che sa che quel­la fra­se l’ha già scrit­ta Lia­la: tut­ta­via, dice Eco, ciò non gli impe­di­sce di amar­si comun­que. La dif­fe­ren­za però, dico io, è che quel sor­ri­so non è affat­to cosa pic­co­la, pro­prio per nien­te! E’ un sor­ri­so di scher­no, ahi­mé, e cam­bia ogni cosa.»
Vede­te come, in que­sto pas­sag­gio, si sve­la il lato nichi­li­sta e vuo­to del post-moder­no. La sin­dro­me del “tut­to è già sta­to det­to e fat­to e scrit­to”, del “la vita non ha sen­so”, del “il mon­do è una masche­ra die­tro una masche­ra die­tro una masche­ra”. Anche Simo­ne Costa, for­se, per­ce­pi­sce a livel­lo subli­mi­na­le o intel­let­tua­le di far par­te di un ope­ra let­te­ra­ria ed è schiac­cia­to dal­la vacui­tà di que­sta nozio­ne. In que­sta visio­ne del­le cose, nul­la è vero e quin­di nul­la ha sen­so. E’ ciò che cre­de­va­no gli gno­sti­ci, ma la dif­fe­ren­za prin­ci­pa­le è che gli gno­sti­ci era­no cri­stia­ni, e quin­di tro­va­va­no la sal­vez­za in una ipo­te­ti­ca reden­zio­ne divi­na. Ste­fa­no Costa è un intel­let­tua­le del seco­lo ven­tu­ne­si­mo e non cre­de più in nul­la, quin­di non tro­va nes­sun appi­glio. Que­sto sta­to di cose appar­te­ne­va anche alla let­te­ra­tu­ra post­mo­der­na ita­lia­na, a par­ti­re dagli anni ’80. Dico­no i Wu Ming, ripren­den­do lo stes­so bra­no di Eco cita­to da Costa: «Nel­le Postil­le al Nome del­la Rosa (cfr. la nota 3 in cal­ce a que­sto testo), Umber­to Eco die­de una defi­ni­zio­ne del post­mo­der­ni­smo dive­nu­ta cele­ber­ri­ma. Para­go­nò l’autore post­mo­der­no a un aman­te che vor­reb­be dire all’amata: “Ti amo dispe­ra­ta­men­te”, ma sa di non poter­lo dire per­ché è una fra­se da roman­zo rosa, da libro di Lia­la, e allo­ra enun­cia: “Come direb­be Lia­la, ti amo dispe­ra­ta­men­te.” Negli anni suc­ces­si­vi, l’abuso di quest’atteggiamento por­tò a una stag­fla­zio­ne del­la paro­la e a una sovrab­bon­dan­za di “meta-fic­tion”: rac­con­ta­re del pro­prio rac­con­ta­re per non dover rac­con­ta­re d’altro. Oggi la via d’uscita è sosti­tui­re la pre­mes­sa e spo­sta­re l’accento su quel che impor­ta dav­ve­ro: “Nono­stan­te Lia­la, ti amo dispe­ra­ta­men­te”. Il cli­ché è evo­ca­to e subi­to mes­so da par­te, la dichia­ra­zio­ne d’amore ini­zia a rica­ri­car­si di senso.»
Quin­di, in con­clu­sio­ne, si può dire che Quan­do Tut­to Tace foto­gra­fa que­sti bran­del­li di anni ’80, la socie­tà del­lo spet­ta­co­lo e il post­mo­der­no, che anco­ra ci ammor­ba­no la vita e pun­ta ad una pos­si­bi­le solu­zio­ne o via d’uscita che pos­sa resti­tui­re un sen­so alle cose ed una dimen­sio­ne uma­na alla vita. E, come dice­va anche Phi­lip Dick, que­sta è l’approccio del diver­so, l’amore e l’empatia ver­so gli altri esse­ri uma­ni. Que­sta è la nostra nuo­va utopia.