2
Dic
2013

Grand Theft Auto V — In difesa di una banda di bastardi

(Que­sto arti­co­lo è una rispo­sta al pez­zo di Giu­liet­to Chie­sa su GTA V)
Pre­met­to che affron­to la pole­mi­ca nata nell'articolo di Giu­liet­to Chie­sa da una pro­spet­ti­va par­ti­co­la­re: pri­ma di tut­to, fac­cio par­te del suo labo­ra­to­rio poli­ti­co, Alter­na­ti­va, per cui tri­bu­te­rò a Giu­liet­to il rispet­to che meri­ta e non chiu­de­rò la que­stio­ne con un mero insul­to, come di cer­to han­no già fat­to mol­ti troll. In secon­do luo­go, sono dal 1997 un gran­de esti­ma­to­re dei video­ga­me del­la R*, non­ché un loro ex-impie­ga­to (ho lavo­ra­to come loca­li­za­tion tester per la loro filia­le di Lin­coln), per cui la mia cono­scen­za del­la mate­ria è più ampia di quel­la del let­to­re casuale.
La con­dan­na di Chie­sa espri­me sen­ti­men­ti senz’altro con­di­vi­si da mol­ti, anche nel­la sfe­ra del­la poli­ti­ca atti­va. Pos­sia­mo cita­re il pani­co mora­le aiz­za­to con­tro i video­ga­me “vio­len­ti” dal sena­to­re Lie­ber­man negli USA all’inizio dei ’90, per cita­re uno dei casi più noti, oppu­re gli exploit del nostro Mastel­la del 2006. La fusti­ga­zio­ne di video­ga­me come fon­te di cor­ru­zio­ne è asso­lu­ta­men­te tra­sver­sa­le agli schie­ra­men­ti poli­ti­ci ed è sta­ta, negli anni, sol­le­va­ta da soste­ni­to­ri del­le idee socia­li più diver­se. La doman­da è: cosa han­no in comu­ne Chie­saLie­ber­man e Mastel­la? Cosa li ha con­dot­ti ad arti­co­la­re una cri­ti­ca tut­to som­ma­to iden­ti­ca nei con­fron­ti di tre diver­se ite­ra­zio­ni del­lo stes­so video­ga­me, Grand Theft Auto? L’unico comu­ne deno­mi­na­to­re tra i tre è pre­sto det­to: non han­no mai gio­ca­to a un video­ga­me in vita loro. Inol­tre, pen­sa­no che uno di essi — in par­ti­co­la­re — sia un’Arma di Distru­zio­ne Psi­chi­ca di Mas­sa. Per cui, inten­do dilun­gar­mi (ecces­si­va­men­te) sui prin­ci­pa­li pun­ti cal­di dell’articolo di Chie­sa, nel ten­ta­ti­vo di for­ni­re a lui, e a qua­lun­que altro let­to­re poco avvez­zo al mon­do del video­ga­me, qual­che chia­ve di let­tu­ra sup­ple­men­ta­re, affin­ché pos­sa­no non pre­oc­cu­par­si ed ama­re la Bom­ba, come dice­va il buon Stanley. 
Dice­va­mo, l’esperienza di Chie­sa in mate­ria di video­gio­chi con­si­ste nell’osservare uno scher­mo su cui avven­go­no even­ti sca­te­na­ti da un gio­ca­to­re ter­zo: nel­la loro pro­spet­ti­va esi­sten­zia­le, la frui­zio­ne del medium cine­ma e del medium video­ga­me avvie­ne essen­zial­men­te allo stes­so modo. Quin­di, pen­sa­no sia la stes­sa cosa. L’assurdità di que­sta idea è lapa­lis­sia­na agli occhi di un qual­sia­si gio­ca­to­re. Un film non è un video­ga­me, e vice­ver­sa. Pri­ma di tut­to, i mec­ca­ni­smi di imme­de­si­ma­zio­ne sono diver­si. Il cine­ma ha un pub­bli­co pas­si­vo e pri­gio­nie­ro (entri in sala, ti sie­di e ti sci­rop­pi novan­ta minu­ti di nar­ra­zio­ne sen­za inter­fe­ren­ze), il video­ga­me deve gesti­re un pub­bli­co atti­vo e spes­so mania­cal­men­te inten­to a scar­di­na­re la logi­ca stes­sa del­la nar­ra­zio­ne per trar­ne un van­tag­gio tat­ti­co (i male­det­ti cac­cia­to­ri di exploit). Inol­tre, è un pub­bli­co che può bloc­ca­re o ripe­te­re o modi­fi­ca­re seg­men­ti del­la “nar­ra­zio­ne” in manie­ra del tut­to con­fu­sio­na­ria, secon­do le sue esi­gen­ze con­tin­gen­ti, dan­do al flus­so dell’esperienza ludi­ca un cor­so sem­pre uni­co. I tester san­no bene che que­sto sin­go­lo pro­ble­ma è fon­te di sof­fe­ren­ze ine­nar­ra­bi­li per gli svi­lup­pa­to­ri del gio­co, per­ché nes­sun video­ga­me soprav­vi­ve inden­ne all’impatto di un milio­ne di gio­ca­to­ri, impe­gna­ti a sal­tel­la­re qui e là, met­te­re tut­to in disor­di­ne, infi­la­re le dita in tut­te le pre­se del­la cor­ren­te, mor­de­re ogni pal­ma, cal­cia­re ogni rodi­to­re ed, in gene­ra­le, intra­pren­de­re qual­sia­si assur­da ini­zia­ti­va bal­zi loro in men­te (spes­so peri­tan­do­si di ripren­de­re il loro exploit, postar­lo su You­tu­be ed sbef­feg­gia­re gli svi­lup­pa­to­ri per non aver­lo pre­ve­nu­to). Que­sta basi­la­re cir­co­stan­za pro­vo­ca uno stra­nia­men­to auto­ma­ti­co rispet­to agli even­ti rac­con­ta­ti, per­ché al gio­ca­to­re vie­ne di con­ti­nuo ram­men­ta­to di tro­var­si davan­ti ad un video­ga­me, sen­za biso­gno dei car­tel­li di bre­ch­tia­na memo­ria. Lo stra­nia­men­to, in gene­ra­le, è argi­na­bi­le con varie tec­ni­che: la bre­ve e tumul­tuo­sa sto­ria dei video­ga­me come for­ma d’arte ten­de a pri­vi­le­gia­re quel­la dell’immer­sio­ne, ovve­ro la pre­fe­ren­za a ren­de­re invi­si­bi­li tut­ti gli ele­men­ti stra­nian­ti. Un gran­de esem­pio in tal sen­so fu Myst ed i suoi sequel: nes­su­na inter­fac­cia, nes­sun dia­lo­go, nes­su­na sto­ria, sol­tan­to un’inquadratura in pri­ma per­so­na che il gio­ca­to­re può muo­ve­re in un iso­la miste­rio­sa, al fine di sve­lar­ne gli enig­mi. GTA è l’esatto oppo­sto di que­sto approc­cio immer­si­vo. Il pri­mo livel­lo di stra­nia­men­to è dovu­to alla pre­sen­za di un’inter­fac­cia. Il secon­do livel­lo è dovu­to all’inqua­dra­tu­ra in ter­za per­so­na (è dif­fi­ci­le imme­de­si­mar­si a livel­lo emo­ti­vo in un pro­ta­go­ni­sta di cui si osser­va per­pe­tua­men­te la nuca, ancor peg­gio se i pro­ta­go­ni­sti sono più d’uno). Il ter­zo livel­lo, ben più con­si­sten­te, è dovu­to alla coe­ren­za arti­sti­ca (sem­pre per­se­gui­ta dal­la R*) nel ten­ta­re di emu­la­re il cine­ma pulp sia nel­le tec­ni­che espres­si­ve che nel­la sce­neg­gia­tu­ra: per cui la sep­pur dif­fi­ci­le imme­de­si­ma­zio­ne vie­ne spes­so tron­ca­ta di net­to da un’abbondanza di cutsce­ne di stam­po cine­ma­to­gra­fi­co ed ancor di più dal­la for­te per­so­na­li­tà dei pro­ta­go­ni­sti. Il gio­ca­to­re non è mai por­ta­to a dire «Io sono il pro­ta­go­ni­sta, io sto facen­do que­ste cose» (come potreb­be fare in Myst), per­ché l’eccellente carat­te­riz­za­zio­ne dei per­so­nag­gi disin­ne­sca siste­ma­ti­ca­men­te que­sto mec­ca­ni­smo psicologico. 
Un’altra stra­da per poten­zia­re il sen­so di imme­de­si­ma­zio­ne nei video­ga­me è la pos­si­bi­li­tà di per­so­na­liz­za­re il pro­prio per­so­nag­gio, tal­vol­ta in manie­ra straor­di­na­ria­men­te pun­ti­glio­sa, come avvie­ne ad esem­pio in The Elder Scrolls: Sky­rim (in cui il gio­ca­to­re è libe­ro di modi­fi­ca­re l’aspetto del pro­ta­go­ni­sta, non sol­tan­to sce­glien­do­ne il look gene­ra­le, ma anche le sfu­ma­tu­re, qua­li pro­por­zio­ni o aspet­to del naso, boc­ca, orec­chie, vestia­rio, pet­ti­na­tu­ra, sto­ria per­so­na­le, orien­ta­men­to ses­sua­le, etc). Anche in que­sto caso, GTA, nono­stan­te qual­che minu­ta con­ces­sio­ne a par­ti­re da San Andreas in poi, si è sem­pre col­lo­ca­to all’estremo oppo­sto: i pro­ta­go­ni­sti, usci­ti dal­la men­te degli sce­neg­gia­to­ri, non han­no nul­la di per­so­na­le, nul­la di pro­dot­to o scel­to dal gio­ca­to­re stes­so. Sono sem­pre loro, mai io. I gio­ca­to­ri ricor­da­no The Secret of Mon­key Island come le scor­ri­ban­de del pro­ta­go­ni­sta, Guy­brush Three­p­wood, e non come le loro avven­tu­re nell’Isola del­la Scim­mia, a cau­sa dell’eccellente carat­te­riz­za­zio­ne del pro­ta­go­ni­sta e dell’ottima sce­neg­gia­tu­ra, al pari di quel­le pre­sen­ti in GTA. Vice­ver­sa, video­ga­me che pri­vi­le­gia­no la per­so­na­liz­za­zio­ne, sono espe­ri­ti in diver­sa luce: un gio­ca­to­re di World of War­craft non vi dirà «Il drui­do Ara­ziel ha par­te­ci­pa­to all’assedio del­la cit­ta­del­la del Re dei Lich», ma «Sia­mo anda­ti in qua­ran­ta a macel­la­re quei fot­tu­ti necro­man­ti». Tut­to ciò è, ripe­to, lapa­lis­sia­no per un gio­ca­to­re (anche un gio­ca­to­re igno­ran­te, inca­pa­ce di espli­ci­ta­re que­ste sen­sa­zio­ni in modo com­piu­to), ma non lo è affat­to per un osser­va­to­re ester­no, soprat­tut­to se esso ten­de a leg­ge­re ciò che vede sul­lo scher­mo con una chia­ve di let­tu­ra di tipo cine­ma­to­gra­fi­co. È anche per que­sti moti­vi che riu­sci­re a far pian­ge­re con un video­ga­me è mol­to dif­fi­ci­le, men­tre qual­sia­si film sen­ti­men­ta­le da mez­za tac­ca ci rie­sce sen­za alcun pro­ble­ma. Il pro­ta­go­ni­sta non è il gio­ca­to­re. I film non sono video­ga­me. Ogni giu­di­zio sui video­ga­me che sfrut­ta costru­zio­ni teo­ri­che model­la­te sul­la tele­vi­sio­ne (come i cita­ti McLu­han, Post­man e Debord) è desti­na­to a rive­lar­si mol­to pro­ba­bil­men­te inac­cu­ra­to, così come la cri­ti­ca let­te­ra­ria può esse­re fuor­vian­te se appli­ca­ta al fumetto.
Altra e più impor­tan­te osser­va­zio­ne: quel­lo che nel cine­ma è il mon­tag­gio, nel video­ga­me sono gli algo­rit­mi di gio­co. I video­ga­me non sono pri­ma­ria­men­te del­le sto­rie, ma dei luo­ghi gover­na­ti da leg­gi inu­sua­li. Chie­sa igno­ra del tut­to que­sto aspet­to e, per ciò, rima­ne col­pi­to da feno­me­ni super­fi­cia­li sen­za coglie­re l’essenza dell’esperienza video­lu­di­ca. Il sen­so pro­fon­do di un video­ga­me è dato dal­le sue mec­ca­ni­che e non dal­le sue carat­te­ri­sti­che “cosme­ti­che”, det­ta­glio più appa­ri­scen­te per i pro­fa­ni. Che il ber­sa­glio del­la pal­lot­to­la spa­ra­ta dal pro­ta­go­ni­sta sia una crea­tu­ra mutan­te da Epsi­lon 9 oppu­re un nar­cos mes­si­ca­no è, spes­so, irri­le­van­te per il gio­ca­to­re, un mero acces­so­rio di sce­na. Entram­bi sono un osta­co­lo per la solu­zio­ne di un pro­ble­ma. E, soprat­tut­to, non sono esse­ri uma­ni, ma ava­tar del­le mec­ca­ni­che del gio­co, quin­di sfi­de o enig­mi da risol­ve­re. Il gio­co con­si­ste nel­la solu­zio­ne del pro­ble­ma. Quel che este­rior­men­te può appa­ri­re come una rapi­na in ban­ca, dal pun­to di vista sog­get­ti­vo del gio­ca­to­re è una serie di deci­sio­ni tat­ti­che ed azio­ni d’estrema com­ples­si­tà, che richie­do­no pia­ni­fi­ca­zio­ne e tem­pi­smo per esse­re por­ta­te a ter­mi­ne. Il gio­ca­to­re ha una per­ce­zio­ne astrat­ta ed ico­ni­ca del­le minac­ce che gli si para­no davan­ti: accu­sa­re GTA di bru­ta­li­tà è, ai miei occhi, ana­lo­go ad accu­sa­re il gio­co degli scac­chi di anar­chi­smo, per la sua pre­oc­cu­pan­te ten­den­za a con­clu­der­si con la mor­te di un re. Un esem­pio con­tro­in­tui­ti­vo di que­sto feno­me­no mi è sta­to for­ni­to da un ami­co, cre­sciu­to in Gior­da­nia. A quan­to pare, il video­gio­co Coun­ter­stri­ke spo­po­la­va così tan­to tra i gio­va­ni del­la sua cit­tà che mol­ti impren­di­to­ri deci­se­ro di apri­re inte­re sale dedi­ca­te sol­tan­to ad esso. Coun­ter­stri­ke è un fir­st per­son shoo­ter (ergo: inqua­dra­tu­ra in pri­ma per­so­na, neces­si­tà di mitra­glia­re qual­sia­si cosa si muo­va) in cui il pro­ta­go­ni­sta è un mem­bro dell’esercito USA in mis­sio­ne in Medio Orien­te. L’obiettivo è fal­cia­re i Male­det­ti Ara­bi — per defi­ni­zio­ne Ter­ro­ri­sti -, secon­do un model­lo bam­bi­ne­sca­men­te patriot­ti­co con­di­vi­so da vari altri video­ga­me. Potre­te capi­re quan­to mi sia par­so curio­so il gran­de apprez­za­men­to che i sum­men­zio­na­ti Ara­bi-Per-Defi­ni­zio­ne-Ter­ro­ri­sti dimo­stra­va­no per Coun­ter­stri­ke. Un socio­lo­go da pull­man potreb­be dire che Coun­ter­stri­ke ero­de le vir­tù mora­li dei gio­va­ni gior­da­ni inse­gnan­do loro il ser­vi­li­smo all’Impero Ame­ri­ca­no e la col­pe­vo­liz­za­zio­ne pre­ven­ti­va dei blah blah blah. Il pun­to è che si trat­ta di un video­ga­me eccel­len­te e diver­ten­te, pro­prio come suo “cugi­no” Half Life, che ripro­po­ne le stes­se mec­ca­ni­che in ambien­te fan­ta­scien­ti­fi­co. In uno si ammaz­za­no i ter­ro­ri­sti, nell’altro dei fasci­sti alie­ni in un futu­ro disto­pi­co. Entram­bi sono apprez­za­ti da milio­ni di gio­ca­to­ri a cui l’esatta iden­ti­tà etni­co-poli­ti­ca dei ber­sa­gli è indif­fe­ren­te, per­ché non si trat­ta di esse­ri uma­ni, né di per­so­nag­gi in sen­so pro­prio, ma meri simu­la­cri del­le mec­ca­ni­che di gio­co, pro­prio quan­to i pedo­ni ed i caval­li degli scac­chi. Coun­ter­stri­ke è la ver­sio­ne più tec­no­lo­gi­ca­men­te avan­za­ta del gio­co degli “india­ni e cow­boy” che l’umanità abbia mai realizzato.
Altro pun­to dell’articolo di Chie­sa riguar­da le cifre: seguen­do dei cal­co­li effet­tua­ti alla buo­na, si pre­oc­cu­pa del­le riper­cus­sio­ni socia­li di GTA V, una vol­ta entra­to a con­tat­to con «un set­ti­mo del­la popo­la­zio­ne del pia­ne­ta». GTA V vie­ne anche eti­chet­ta­to come «even­to che defi­ni­rà una gene­ra­zio­ne». Ora, per quan­to mi risul­ta, GTA V ha ven­du­to 30 milio­ni di copie e sarà gio­ca­to da 30–50 milio­ni di per­so­ne, con­si­de­ran­do qual­che ami­co e fra­tel­li o sorel­le aggiun­ti­vi. Se GTA V sarà pira­ta­to in manie­ra for­sen­na­ta, spa­ran­do una cifra asso­lu­ta­men­te a caso, potrei dire che potreb­be rag­giun­ge­re 300 o addi­rit­tu­ra 600 milio­ni di gio­ca­to­ri fina­li. Ebbe­ne, Super Mario Bros ne ha ven­du­to 40 milio­ni, ed è sta­to gio­ca­to da chiun­que sap­pia cos’è un video­ga­me. Qua­li sono sta­te le sue riper­cus­sio­ni socia­li? In che modo ha cam­bia­to il vol­to del­la socie­tà, impo­nen­do i suoi valo­ri mora­li e disgre­gan­do quel­li pre-esi­sten­ti? Quan­te per­so­ne han­no ini­zia­to a man­giar fun­ghi magi­ci e sal­ta­re sopra le tar­ta­ru­ghe, per poi dedi­car­si ad una vita all’insegna dell’idraulica, in emu­la­zio­ne di Mario? Anche The Elder Scrolls: Sky­rim ha ven­du­to bene: 20 milio­ni di copie. Dovrem­mo for­se aspet­tar­ci che i gio­va­ni cor­ra­no per le stra­de sven­to­lan­do del­le ala­bar­de, ana­lo­ga­men­te ai per­so­nag­gi del video­ga­me fan­ta­sy? Que­sto gene­re di argo­men­ta­zio­ni par­te da un assun­to indi­scu­ti­bi­le (“Ogni feno­me­no di mas­sa ha con­se­guen­ze di mas­sa”) per trar­ne una con­clu­sio­ne arbi­tra­ria (“Tut­ti si com­por­te­ran­no in accor­do a quel­la che io per­ce­pi­sco esse­re la mora­li­tà intrin­se­ca di GTA”). È una let­tu­ra trop­po sem­pli­ci­sti­ca. L’effetto di GTA sul­la cul­tu­ra mon­dia­le è, allo sta­to del­le cose, impon­de­ra­bi­le. Io aggiun­ge­rei “super­fi­cia­le” e “tran­si­to­rio”, ma sono giu­di­zi sen­za alcun riscon­tro nel­la real­tà. Tut­ta­via, Wii Sports ha ven­du­to il tri­plo di GTA V e non mi pare abbia modi­fi­ca­to la nostra socie­tà in modo percettibile.
Nel pez­zo di Chie­sa ci sono anche para­gra­fi volu­ta­men­te para­dos­sa­li, come l’immagine di milio­ni di gio­va­ni zom­bie con­ve­nu­ti onli­ne a «stu­pra­re put­ta­ne» tra­mi­te GTA V in vere e pro­prie asso­cia­zio­ni a delin­que­re. Le par­ti­te in mul­ti­player non han­no alcun con­te­nu­to nar­ra­ti­vo. Sono l’equivalente di una par­ti­ta a ten­nis o a boc­ce. Sono del­le gare di destrez­za il cui obiet­ti­vo varia a secon­da del­la moda­li­tà scel­ta. La più bana­le è il Dea­th­match, in cui si sguin­za­glia­no 16 gio­ca­to­ri in un quar­tie­re e vin­ce chi sec­ca gli altri un nume­ro mag­gio­re di vol­te entro un tem­po pre­de­fi­ni­to. Tut­to ciò è sini­stro quan­to lo sono le pac­chia­ne sale per Laser Game pre­sen­ti in qual­sia­si cit­tà, in cui i clien­ti sono dota­ti di una buf­fa pet­to­ri­na e di un tra­bic­co­lo di pla­sti­ca a mò di fuci­le “laser” (secon­do i cau­sti­ci stan­dard reto­ri­ci tenu­ti da Chie­sa nell’articolo, potrem­mo eti­chet­tar­le sen­za dub­bio come “fuci­ne del nuo­vo ter­ro­ri­smo fasci­sta”). Inol­tre, è bene sot­to­li­nea­re che, nel gio­co, lo stu­pro è assen­te in ogni for­ma (una sce­na, accu­sa­ta in tal sen­so, si è rive­la­ta esse­re sol­tan­to una mera fac­cen­da di can­ni­ba­li nudi).
Ulti­mo pun­to, il più impor­tan­te. Ovve­ro l’accusa a GTA V di accet­ta­zio­ne inte­gra­le del model­lo tur­bo­ca­pi­ta­li­sti­co nei suoi aspet­ti più bece­ri e pre­da­to­ri, di gio­co incom­pa­ti­bi­le con i buo­ni sen­ti­men­ti. Fin dal prin­ci­pio, le ambien­ta­zio­ni di GTA sono sem­pre sta­te cari­ca­tu­re del­la socie­tà ame­ri­ca­na così per come è sta­ta dipin­ta dei film di gene­re pulp. Sono quin­di cari­ca­tu­re di cari­ca­tu­re, in un cer­to sen­so. Que­sta con­no­ta­zio­ne è espli­ci­ta, non una sot­ti­gliez­za da intel­let­tua­li. Salen­do su una qual­sia­si auto­mo­bi­le sgraf­fi­gna­ta, è pos­si­bi­le sin­to­niz­za­re la radio su uno o più cana­li inte­gral­men­te dedi­ca­ti a sati­re sfer­zan­ti del­le tra­smis­sio­ni tele­vi­si­ve e radio­fo­ni­che sta­tu­ni­ten­si. Al con­tra­rio di quan­to pen­sa Chie­sa, GTA si è sem­pre sfor­za­to di appa­ri­re quan­to più anti­si­ste­ma pos­si­bi­le, sem­pre entro una cor­ni­ce di gene­re pulp. Il pote­re, in GTA, è sem­pre e comun­que il male asso­lu­to. L’inevitabile sca­la­ta socia­le del pro­ta­go­ni­sta è affron­ta­ta con la tra­gi­ca ine­vi­ta­bi­li­tà che ha mutua­to da film come Scar­fa­ce (nono­stan­te, nel video­ga­me, sia arric­chi­to da ele­men­ti di com­me­dia)GTA rap­pre­sen­ta la real­tà ame­ri­ca­na spin­gen­do al mas­si­mo tut­ta la sua bru­ta­le ridi­co­lag­gi­ne, par­ten­do qua­si sem­pre dal pun­to di vista di un emi­gra­to o di un emar­gi­na­to, costret­to al cri­mi­ne dal­le rego­le del siste­ma eco­no­mi­co ingiu­sto di cui fa par­te. Que­sto fa di GTA un gio­co anti­si­ste­ma? No, ovvio. È un gio­co “di sini­stra”? No, è un gio­co blan­da­men­te libe­ral, sul pia­no poli­ti­co. È per­va­so di un cer­to con­for­mi­smo, camuf­fa­to sot­to una lie­vis­si­ma pati­na di cri­ti­ca socia­le tra­bal­lan­te. Ma que­sta carat­te­ri­sti­ca è con­di­vi­sa dal 95% del­la nar­ra­ti­va popo­la­re di tut­ti i tem­pi: non può esse­re con­si­de­ra­ta un ele­men­to a sfa­vo­re di GTA. È un video­ga­me “incom­pa­ti­bi­le con i buo­ni sen­ti­men­ti”? Cer­to, per­ché le rego­le del gene­re in cui è inscrit­to lo esclu­do­no. Rego­le non sta­bi­li­te dal­la R*, ma dal­la tra­di­zio­ne pulp dagli anni ’30 a que­sta par­te, sia let­te­ra­ria che cine­ma­to­gra­fi­ca. Così come in Red Dead Redemp­tion è impos­si­bi­le che il cow­boy pro­ta­go­ni­sta si can­di­di a gover­na­to­re del­la Loui­sia­na, e in L.A. Noi­re il detec­ti­ve pro­ta­go­ni­sta si met­ta a traf­fi­ca­re eroi­na. Così come le tra­ge­die gre­che non fini­sco­no mai a taral­luc­ci e vino. Così come è dif­fi­ci­le repe­ri­re un libro di Giu­liet­to Chie­sa che com­pren­da un capi­to­lo in cui due alie­ni chiac­chie­ra­no del più e del meno su una sta­zio­ne spa­zia­le intor­no ad Alpha Centauri. 
Per con­clu­de­re, il mio apprez­za­men­to del­la serie GTA è soprat­tut­to di natu­ra arti­sti­ca e tec­ni­ca. Si può affer­ma­re che sia uno degli usi più evo­lu­ti e com­ples­si del lin­guag­gio uma­no, il qua­le ha richie­sto il lavo­ro di miglia­ia di per­so­ne per lun­ghi anni. Ho visto di pri­ma per­so­na quan­ta cura vie­ne mes­sa per la rea­liz­za­zio­ne di que­ste ope­re da tut­ti i lavo­ra­to­ri coin­vol­ti: non sono inte­se come un rapi­do modo per arraf­fa­re dena­ro dai loro auto­ri, ma come una for­ma d’arte demiur­gi­ca e tota­le. Il medium video­gio­co sarà la prin­ci­pa­le for­ma d’arte del seco­lo che si è appe­na aper­to, così come il cine­ma lo è sta­to di quel­lo pas­sa­to. In que­sti anni si stan­no ponen­do le basi tec­ni­che ed arti­sti­che per la rea­liz­za­zio­ne di inte­ri mon­di vir­tua­li in cui vive­re, oltre che espe­ri­re avven­tu­re (tra l’altro, sarà inte­res­san­te vede­re cosa signi­fi­che­rà «Lo svi­lup­po infi­ni­to in un pia­ne­ta fini­to è impos­si­bi­le» in quel con­te­sto). GTA V sarà ricor­da­to come un egre­gio ante­na­to di que­sta tra­di­zio­ne, agli albo­ri del video­ga­me, con la stes­sa enfa­si con cui oggi ricor­dia­mo lo Scar­fa­ce del 1932 di Howard Hawks (ovve­ro, non più di tan­ta). Se voles­si­mo dare il via ad una cam­pa­gna di pro­te­sta che ruo­ta attor­no al mon­do del video­ga­me, pre­fe­ri­rei pun­ta­re lo sguar­do sul­le con­di­zio­ni di lavo­ro igno­mi­nio­se a cui sono sot­to­po­sti gli impie­ga­ti del set­to­re (in lar­ghis­si­ma par­te igna­ri anche dell’esistenza del­la tec­no­lo­gia mol­to cool chia­ma­ta “sin­da­ca­to”), piut­to­sto che far mena­te mora­li­sti­che sul­la capa­ci­tà di GTA di cor­rom­pe­re i nostri gio­va­ni. Dopo­tut­to, abbia­mo avu­to una fon­te di cor­ru­zio­ne in veste di lea­der nazio­na­le per una ven­ti­na d’anni e la nostra fibra mora­le è anco­ra solida.
In ulti­ma ana­li­si, pri­ma di scri­ve­re un’altra urti­can­te cri­ti­ca con­tro un video­gio­co, con­tro i suoi uten­ti ed i suoi auto­ri, pre­ten­do che l’estensore del Peni­ten­zia­gi­te sfi­di suo figlio in mul­ti­player e vin­ca.