4
Feb
2014

Re degli Orchi (3 di 4)

Re degli Orchi
Una sto­ria d’amore
Par­te 3 di 4

(di J. Nicho­las Gei­st, tra­dot­to da Kill Screen #1 — No Fun)


Leg­gi la pri­ma parte
Leg­gi la secon­da parte


Capi­to­lo 5


C'era una ragio­ne per cui Megan fos­se con­vin­ta che Brian e Amy vives­se­ro in Geor­gia: era là che Dave e Zarq era­no diret­ti quan­do han­no incon­tra­to la cop­pia per la pri­ma vol­ta. Zarq dove­va pre­sen­zia­re ad una qual­che Sti­lo­sa Con­fe­ren­za per Gen­te Pro­dut­ti­va ad Atlan­ta, e lo sca­lo a Dal­las fu un’inaspettata scu­sa per effet­tua­re una micro-adu­nan­za del­la gil­da. Rie­sco ad imma­gi­nar­me­li, sedu­ti ad una tavo­li­no metal­li­co all’aeroporto, sopra quel­le sedie doz­zi­na­li, sco­mo­de. Qual­cu­no le pro­get­tò par­ten­do dall’assunto che uno scan­den­te foglio di metal­lo potes­se far le veci del legno pre­gia­to. Rie­sco ad imma­gi­na­re Zarq che si fis­sa le mani, men­tre Dave è tut­to emo­zio­na­to. Nel mio qua­dret­to men­ta­le, Brian e Amy si stan­no pal­pan­do sot­to il tavo­li­no, anche se pro­ba­bil­men­te non è anda­ta così. Nes­su­no sa cosa dire, e quin­di tut­ti si cimen­ta­no in fred­du­re sul­la gen­te che pas­sa. Zarq ridac­chia, a disagio.
Ad un cer­to pun­to, Zarq chie­de a Brian: «Come stan­no i bambini?»
«Pic­co­li bastar­di. Sto anco­ra ten­tan­do di inse­gnar loro a chiu­de­re la boc­ca quan­do sono su Ventrilo.»
«Oh, dai. Tu sei sem­pre su Ven­tri­lo.» dice Amy «Pri­ma o poi, dovran­no pure parlarti.»
«For­se dovre­te inse­gnar­gli il lin­guag­gio dei segni.» scher­za Zarq, ten­tan­do dispe­ra­ta­men­te di inco­rag­giar­li a qual­sia­si tipo di com­por­ta­men­to sociale.
«Mer­da» dice Brian.
«O, alme­no, quan­do stai facen­do un raid…» dice Dave «L’altro gior­no a Karazhan…»
E, da lì in poi, si par­le­rà solo di equi­pag­gia­men­to e pro­fes­sio­ni e dan­ni al secon­do, e tut­to l’imbarazzo e la discon­nes­sio­ne saran­no cela­te die­tro un’esperienza con­di­vi­sa all’interno di un mon­do arti­fi­cia­le, sot­to que­sto pon­te costrui­to con armi epi­che e spe­cia­liz­za­zio­ne del­le clas­si e caver­ne ampie ed articolate.
Brian e Amy, nel­la mia imma­gi­na­zio­ne, sono geni­to­ri da incu­bo, per­ver­ti­ti e osce­ni. Pos­so figu­rar­mi i loro figli, tra mol­ti anni, men­tre scri­vo­no let­te­re furio­se ai mostri del gio­co: «PERCHÈ NON CI AMAVANO QUANTO AMAVANO VOI?!?!». È così invi­tan­te, in que­sti gior­ni di disin­tos­si­ca­zio­ne, incol­pa­re il video­ga­me del­le loro eccen­tri­ci­tà geni­to­ria­li. Ma è anche ingiu­sto. Ciò che amo del­la gen­te di WoW è pro­prio la loro deter­mi­na­zio­ne a non vio­la­re la rego­la che infran­go in que­sto momen­to: non giu­di­ca­no il pros­si­mo. Ci pren­dia­mo come sia­mo, per­ché sap­pia­mo che nes­sun altro lo farà. Sap­pia­mo che non snob­be­re­mo i nostri com­pa­gni per il modo in cui par­la­no ai pro­pri figli o per la loro irri­ta­bi­li­tà o per quan­do sono fasti­dio­si su Ven­tri­lo. E, di cer­to, non li giu­di­che­re­mo mai per tut­to il tem­po che pas­sia­mo a gio­ca­re. WoW è uno spa­zio sicu­ro, un luo­go in cui anda­re per esse­re accol­ti a brac­cia aper­te ed esse­re ama­ti così come sia­mo. Come una chie­sa. Come un Wal Mart.

Capi­to­lo 6


Det­to que­sto, ecco tut­to ciò che sape­vo su Sarah: la gen­te non la capi­va. È pro­prio que­sto che ci acco­mu­na­va, là al McDonald's. Le per­so­ne attor­no a noi, i com­mes­si svo­glia­ti, i clien­ti di pas­sag­gio, chiun­que ci ascol­tas­se… non capi­va­no una paro­la di quel che dicevamo.
Un paio di set­ti­ma­ne dopo aver smes­so, Megan ed io ci tro­vam­mo a casa dei miei.
«L’altro gior­no leg­ge­vo qual­co­sa» dis­se mia madre «sul­la dipen­den­za da vio­deo­gio­chi. Ne hai mai sen­ti­to parlare?»
«Di cosa, specificamente?»
Megan rima­se in silenzio.
«A quan­to pare, in Cina o in uno di quei posti lì,» pro­se­guì mia madre «il gover­no sta varan­do del­le leg­gi per limi­ta­re gli ora­ri degli Inter­net Point. Dico­no che c’è gen­te che ci sta 60 o 70 ore di fila­to e poi tira le cuo­ia per la stanchezza.»
«Sì, ci sono nazio­ni con una cul­tu­ra del gio­co mol­to diver­sa.» rispon­do «In Corea, ad esem­pio, quel­la del gio­ca­to­re è una car­rie­ra rispet­ta­bi­le. Trat­ta­no i gio­ca­to­ri pro­fes­sio­ni­sti come noi trat­tia­mo gli atle­ti pro­fes­sio­ni­sti. Da loro, video­gio­chi come Linea­ge o Star­craft, che per noi sono roba vec­chia, han­no anco­ra un pub­bli­co enor­me. Ed alcu­ni esagerano.»
Mam­ma ci pen­sò un attimo.
«Beh» dis­se infi­ne «assi­cu­ra­ti di non gio­ca­re trop­pe ore di seguito.»
In real­tà, pen­so pro­prio che sia una figa­ta. Ovvia­men­te, non mi rife­ri­sco al cre­pa­re per spos­sa­tez­za o per avve­le­na­men­to da azo­to alla 62° ora di gio­co con­se­cu­ti­vo. È una figa­ta l’idea che esi­sta­no luo­ghi in cui esse­re un gio­ca­to­re è accet­ta­to. In cui l’idea che rice­ve­re una remu­ne­ra­zio­ne per fare ciò che ami si esten­da anche ad atti­vi­tà che non richie­do­no il fisi­co di un atle­ta o una pas­sio­ne sover­chian­te per la con­ta­bi­li­tà. In cui gen­te come me è rispet­ta­ta, alme­no quan­to un appas­sio­na­to di lacros­se oppu­re un DJ. Più tar­di, in mac­chi­na, Megan mi dis­se: «Non sono sta­ta brava?»
«Per­ché?»
«Quan­do tua madre ha men­zio­na­to la dipen­den­za da video­ga­me, non ho det­to una parola.»
«Sì» rispo­si «Hai ragione.»
«Gra­zie» ho pro­ba­bil­men­te det­to in segui­to, anche se rite­ne­vo che, in real­tà, non aves­se nul­la da dire: ave­vo smes­so, quin­di ovvia­men­te non ero dipen­den­te, gra­zie tante.
Capi­sco quel che pro­va­va. Sul serio. Anche io ho espe­ri­to lo stes­so orro­re pro­fon­do, quan­do udii Dave, ad una cena di un matri­mo­nio, par­la­re ai testi­mo­ni di come fun­zio­na­va­no i raid, ed in qua­li cir­co­stan­ze un raid com­po­sto da 10 gio­ca­to­ri può fun­zio­na­re con sol­tan­to due gua­ri­to­ri. Sono sta­to pro­prio io ad avver­ti­re sua sorel­la, la spo­sa, che lui avreb­be pro­ba­bil­men­te par­la­to tut­to il tem­po di WoW, e che lei avreb­be dovu­to rove­sciar­gli in testa una bot­ti­glia d’acqua oppu­re dar­gli un col­po di rivi­sta sul naso. Que­sta è la veri­tà: non esi­ste momen­to in cui odio i video­ga­me mag­gior­men­te — in cui odio me stes­so mag­gior­men­te — come quel­li in cui, ad esem­pio, Dave e Zarq sono a cena da noi, e Dave dice: «Hey, ti ho rac­con­ta­to che mi è suc­ces­so ieri alla Ser­pen­tsh­ri­ne Cavern?» ed io rispon­do «No, cosa?» e Megan leva gli occhi al cie­lo e sospi­ra pia­no, chiu­den­do­si nel silenzio.
Pen­so che il mon­do abba inse­gna­to a mia madre che se gio­co a WoW, per­de­rò il con­trol­lo sul­la mia vita, rimar­rò sedu­to davan­ti al com­pu­ter tut­to il gior­no a bere metri cubi di Pibb Xtra e man­gia­re tor­te inte­re e per­de­rò il lavo­ro. Megan dovrà rispon­de­re alle tele­fo­na­te pre­oc­cu­pa­te dei miei geni­to­ri, spie­gan­do loro che non pos­so rag­giun­ge­re la cor­net­ta per­ché sono sul Sun­well Pla­teau. Pas­se­rà i gior­ni a pian­ge­re sul­le imma­gi­ni dei nostri ami­ci che non incon­tria­mo più. Dopo­tut­to, anche lei non è immu­ne. For­se teme le stes­se cose. Neanch’io sono immu­ne. Nel­la caver­na del­le mie pau­re, vedo ciò che il mon­do vede: 
 
Le luci si accen­do­no su un pic­co­lo uffi­cio dome­sti­co. MIKE, un occhia­lu­to omac­cio­ne, il qua­le indos­sa una magliet­ta su cui è stam­pa­ta una bar­zel­let­ta rela­ti­va ad inter­net, è sedu­to davan­ti ad un com­pu­ter. È cir­con­da­to da action-figu­re di Spi­der Man e sca­to­le di video­ga­me, acca­ta­sta­te come se fos­se­ro arre­da­men­to. Un movi­men­to di came­ra ci mostra MIKE men­tre gio­ca a World of War­craft. Sul­la scri­va­nia davan­ti a lui, squil­la il tele­fo­no. MIKE alza la cor­net­ta, con­trol­la il nome del chia­man­te, e chiu­de la chia­ma­ta. Imme­dia­ta­men­te, il tele­fo­no di MIKE squil­la di nuovo.
 

NARRATORE
(Pre­fe­ri­bil­men­te Susan Sarandon)
Que­sto è Mike. A lavo­ro, Mike è diver­ten­te, ami­che­vo­le, socie­vo­le. Alle feste, tut­ti voglio­no esser­gli accan­to, per il suo spic­ca­to sen­so dell'umorismo. Dopo il lavo­ro, dopo le feste, la gen­te lo chia­ma. Vuo­le pas­sa­re del tem­po con lui. Ma Mike non rispon­de. Gli lascia­no mes­sag­gi, ma Mike non richia­ma. Alle fine, tut­ti smet­to­no di provarci.

 
Fer­moim­ma­gi­ne sul­lo sguar­do con­cen­tra­to di MIKE. Lo scher­mo ti tin­ge di una colo­ra­tu­ra seppia.
 
NARRATORE
Mike è un nerd.
 
Stac­co. Sia­mo in un mar­ket 24h. ANDY, un uomo mol­to cor­pu­len­to,  pas­seg­gia davan­ti alla cas­sa. Di fian­co ad essa sono già pre­sen­ti due Dou­ble Gulps da 1800 gram­mi cadau­no. ANDY sac­cheg­gia l’area dol­ci, fa incet­ta di pata­ti­ne e cibo cal­do, por­tan­do alla cas­sa del cibo ad ogni pas­sag­gio. ANDY par­la al telefono.
 
ANDY
Sì, sì, lo so. Sono al 24 ore. Col­le­ga­ti a Ven­tri­lo ed aspet­ta­mi alla Pie­tra dell'Adunanza.
 
NARRATORE
Que­sto è Andy. Andy ha una ric­ca vita socia­le, den­tro e fuo­ri dall’ufficio. Si è appe­na spo­sa­to, e sua moglie lo ama. Ma i dot­to­ri lo aller­ta­no che deve per­de­re peso, e far­lo in fret­ta. Andy pesa 226 chili.
 
Fer­moim­ma­gi­ne su ANDY. Beve una soda gigan­te. Seppia.
 
NARRATORE
Andy è un nerd.
 
Stac­co. Sia­mo in uno stu­dio, in cui DAVID sie­de al com­pu­ter. Gio­ca a World of War­craft. ZARQA gli è accan­to, leg­ge una rivi­sta. ZARQA pro­va ripe­tu­ta­men­te ad ini­zia­re una con­ver­sa­zio­ne con DAVID, il qua­le le fa cen­no di smet­ter­la, oppu­re par­la nel suo micro­fo­no. ZARQA sospi­ra. Si avvi­ci­na al com­pu­ter. DAVID è intri­ga­to dall’interesse di ZARQA.
 
NARRATORE
Que­sto è David. David lavo­ra in un'importante azien­da assi­cu­ra­ti­va. Rie­sce a sve­la­re milio­ni di dol­la­ri di fro­di ogni anno. E que­sta è Zar­qa. Come infer­mie­ra, pas­sa 12 ore al gior­no a sal­va­re del­le vite. Sono sta­ti spo­si feli­ci per tre anni. Ma oggi, Zar­qa si è resa con­to che l’unico modo di man­te­ne­re vivo il suo matri­mo­nio è gio­ca­re con il mari­to a World of War­craft. Per sal­va­re il loro rap­por­to, deve diven­ta­re ciò che più teme.
 
Men­tre il NARRATORE par­la, ZARQA si spo­sta davan­ti alla tastie­ra. Posa una mano incer­ta sul mou­se. Fer­moim­ma­gi­ne su ZARQA, men­tre  fis­sa con ras­se­gna­zio­ne la scher­ma­ta per la crea­zio­ne del per­so­nag­gio. Seppia.
 
NARRATORE
David è un nerd.
 
Stac­co. Susan Saran­don (oppu­re il NARRATORE, se lei è indi­spo­ni­bi­le), pas­seg­gia per un Inter­net Cafe. Sul­lo sfon­do, varie per­so­ne gio­ca­no a video­ga­me online.
 
NARRATORE
Sal­ve. Sono Susan Saran­don. In tut­to il mon­do, la Ner­di­tà sta cau­san­do più vit­ti­me del can­cro, dei mor­si di ser­pen­te e degli esplo­si­vi ad alto poten­zia­le. Ogni anno, milio­ni di per­so­ne cado­no vit­ti­ma dell’impulso di gio­ca­re ai videogames.
 
Uno dopo l’altra, vedia­mo i fer­moim­ma­gi­ne di MIKE, ANDY e ZARQA scor­re­re sul­lo scher­mo. Alla fine, com­pa­re un pun­to di doman­da ros­so su uno sfon­do nero.
 
NARRATORE
Sarai tu il prossimo?