4
Feb
2014

Re degli Orchi (2 di 4)

Re degli Orchi
Una sto­ria d’amore
Par­te 2 di 4

(di J. Nicho­las Gei­st, tra­dot­to da Kill Screen #1 — No Fun)


Leg­gi la pri­ma parte


Capi­to­lo 2


Giun­se il pri­mo gior­no di lavo­ro. Come si con­fà ad un nerd, ero un ven­di­to­re di com­pu­ter. Io ed i miei col­le­ghi aspet­ta­va­mo, a disa­gio, che ci venis­se det­to di entra­re nel­la came­ra in cui sareb­be avve­nu­to l’orientamento. Duran­te l'attesa, pre­si le misu­re dei miei nuo­vi col­le­ghi: tre gros­si cef­fi dall’aspetto sec­chio­ne (me com­pre­so), un nerd magro­li­no, una ragaz­za, gio­va­ne e cari­na, con un appa­rec­chio ai den­ti che pos­so solo descri­ve­re come “scin­til­lan­te”. La sua diso­mo­ge­nei­tà rispet­to al grup­po era ridi­co­la. I ragaz­zi ave­va­no tut­ta l’aria di dor­mi­re con foto di Stan Lee sot­to il cusci­no. Era faci­le imma­gi­nar­ci men­tre fru­ga­va­mo tra le visce­re di un lap­top feri­to. Quel­la ragaz­za, inol­tre, non ave­va più di vent’anni. Non ave­va l’aspetto di una che spen­de più di 100$ al mese in fumet­ti (non lo fac­cio neanch’io, bada bene, ma potrei di sicu­ro far­lo). Io face­vo bal­lon­zo­la­re i pie­di, e mi muo­ve­vo in avan­ti ed indie­tro: la mia tra­di­zio­na­le dan­za dell’imbarazzo.
«Ti chia­mi Josh» mi dis­se uno dei miei com­pa­gni nerd.
«Sì…» rispo­si. Non l'avevo mai visto prima.
«Sono un genio.» dis­se lui.
«Oh…?» chie­si. La dan­za proseguì.
«C’è scrit­to sul­la tua taz­za» sot­to­li­neò lui.
«Aha»
Ini­ziam­mo a caz­zeg­gia­re, par­lan­do di nomi, di come la gen­te stor­pias­se i nostri con rego­la­re fre­quen­za. Gene il Genio veni­va spes­so con­fu­so con Jean. Phil diven­ta­va Fill. Nes­su­no sba­glia­va il nome di Josh, per­ché di Josh ce ne sono un milio­ne. Solo chiac­chie­re di cir­co­stan­za del­la più infi­ma risma. La mia atten­zio­ne rica­de­va spes­so sul­la ragaz­za, così diver­sa da noi, e di come ten­tas­se di inse­rir­si in quel con­te­sto. Di nasco­sto, face­va anche lei cosplay? Anda­va alla Comic-Con? Pos­sie­de­va un suo bat’leth per­so­na­le? Quan­do il nostro capo ci chia­mò, salim­mo le sca­le. Io e Phil/Fill fum­mo mes­si in cop­pia: dove­va­mo par­la­re, in modo da cono­scer­ci meglio, per poi pre­sen­ta­re il nostro part­ner al grup­po. Discu­tem­mo di mogli e figli e case, ed i rela­ti­vi van­tag­gi del­le distri­bu­zio­ni di Linux bina­rie o sour­ce-built. Die­tro di me, rie­cheg­giò la tenue voce fem­mi­ni­le dell’Altra: «Beh, io sono Sarah e gio­co a World of War­craft…»
Aha.

Capi­to­lo 3

È una varie­tà peri­co­lo­sa del­la curio­si­tà, quel­la che mi spin­se a chie­de­re a Megan, una not­te dopo cena, di dir­mi tut­to quel che sape­va sui miei com­pa­gni di gilda.
«Mmh. Beh, non ricor­do i loro nomi, ma c’è una cop­pia spo­sa­ta che vive in Geor­gia: par­la­no sem­pre del­la loro vita sessuale…»
«Mol­to det­ta­glia­ta­men­te.» aggiun­si io.
«…e c’è il ragaz­zi­no che bestem­mia da mat­ti. E poi il tipo pie­no di sol­di, e poi il ragaz­zo fasti­dio­so chia­ma­to Davy….»
Men­tre par­la­va, nel­la mia testa: trion­fo! Brian e Amy vivo­no in Texas, Davy è quel­lo ric­co ed il ragaz­zo fasti­dio­so si chia­ma Lucas. Megan non cono­sce nem­me­no Pat, o Chloe, o Will. Que­sto vuol dire che l’ho espo­sta sol­tan­to ad una dose mini­ma­le di ner­di­tà. Haha! Sono un bra­vo mari­to. O qual­co­sa del genere.
E anche: potreb­be andar peg­gio. Lei non gio­ca, tran­ne per quel­la vol­ta in cui l’ho spin­ta a pro­var­ci. Non ha mai par­la­to con loro tra­mi­te Ven­tri­lo, il ser­vi­zio VoIP che usia­mo per comu­ni­ca­re duran­te le par­ti­te. Pro­ba­bil­men­te non riu­sci­reb­be a rico­no­scer­ne le voci. Non si è mai sedu­ta all’aeroporto ad aspet­ta­re gen­te che cono­sce sol­tan­to per­ché ha sen­ti­to le loro voci ed ha visto le foto dei loro gnomi.
Ed infi­ne, per fare il pun­to del­la situa­zio­ne: Oh, mer­da.
Mi ven­ne l’impulso mal­sa­no di chie­der­le di dir­mi tut­to quel­lo che sape­va su WoW. Lo soppressi.

Capi­to­lo 4



Men­tre era­va­mo in pau­sa, andai da Sarah. Era­va­mo simi­li, per cui dovet­ti por­le una doman­da: «Su che ser­ver sei?»
«Ale­x­strasza» rispon­de «Tu?»
«Sil­ver Hand.» Il gio­co ha una enor­me popo­la­zio­ne (più di 11 milio­ni, all’ultima con­ta) e rie­sce a gestir­la divi­den­do­la in vari ser­ver, cia­scu­no con­te­nen­te una copia inte­gra­le del­lo stes­so mon­do. Incon­tra­re per caso per­so­ne che gio­ca­no sul tuo ser­ver è più o meno come anda­re a Disney­world ed imbat­ter­ti in tuo cugino.
Quin­di bla­te­ram­mo di WoW, con­fron­tan­do la den­si­tà di Stre­go­ni sui rispet­ti­vi ser­ver, dibat­ten­do del­le ingiu­ste calun­nie rivol­te ai Cac­cia­to­ri… il gene­re di ner­di­tà distil­la­ta che è dif­fi­ci­le tro­va­re oltre le mura del Lar­ge Hadron Col­li­der. Pro­se­guim­mo fin­ché non ci tro­vam­mo al McDo­nald, in cui ordi­nai una Diet Coke, men­tre lei non pre­se nul­la. È stra­no: duran­te il ritor­no, mi resi con­to di non ave­re asso­lu­ta­men­te nul­la in comu­ne con quel­la ragaz­za. Pro­prio nul­la. Anche all’interno del gio­co, face­va­mo cose diver­se, fre­quen­ta­va­mo gen­te diver­sa, ave­va­mo diver­si obiet­ti­vi. La nostra chiac­chie­ra­ta durò 15 minu­ti. Fu inte­ra­men­te con­dot­ta in un lin­guag­gio con­di­vi­so e trat­tò di espe­rien­ze con­di­vi­se: cio­no­no­stan­te, non c’era asso­lu­ta­men­te alcu­na con­nes­sio­ne tra me e lei. D'un trat­to, mi sen­tii vuoto.
Se mi chie­di, come io stes­so ho fat­to, per­ché gio­ca­vo a WoW, la rispo­sta è mol­to chia­ra: con­nes­sio­ne. Gio­ca­vo per sta­re insie­me a gen­te come me, per­so­ne che tro­vo rara­men­te nel mon­do ester­no. Per­so­ne che, di nor­ma, non chie­do­no: «Per­ché gio­chi a WoW men­tre potre­sti [inse­ri­re impre­sa sover­chian­te qui]?». Anzi, al con­tra­rio, sono soli­te dire cose così: «Cer­to, potrei fare la mara­to­na di Boston tra tre ore, ma… sì, cre­do che pro­ba­bil­men­te andrò nel dun­geon di Steamvaults.»
Ma, men­tre par­la­vo con Sarah del fat­to che lei ed il suo ragaz­zo — un det­ta­glio che rie­vo­ca­va in con­ti­nua­zio­ne, pro­ba­bil­men­te per disin­cen­ti­var­mi a pro­var­ci con lei — si sta­va­no crean­do nuo­vi per­so­nag­gi, dei Ladri, su un nuo­vo ser­ver, ero sopraf­fat­to dal­la sen­sa­zio­ne che que­sto spe­cia­le, con­di­vi­so lega­me di Alte­ri­tà con­tro il resto del mon­do fos­se in lar­ga par­te mera appa­ren­za. Con­di­vi­de­va­mo quell’attività per poter fin­ge­re di esse­re simi­li, ma non c’era nien­te di genui­no nel nostro lega­me: era­va­mo soli.
«In real­tà» le dis­si «Io ho appe­na smesso.»