Made in Italy — Intervista su Lo Spazio Bianco
Con il fumetto “Made in Italy – L’Infame” è iniziata una collaborazione con la MeLeto Software, che renderà presto disponibili i vostri fumetti sull’App Store per l’iPad. Da cosa nasce questa scelta e cosa pensate di questa nuova veste digitale del fumetto?
Massimo Spiga: Made In Italy è sempre stato un fumetto digitale. Fin dal concepimento, è rimasto un mucchio di elettroni impazziti che rimbalzavano tra i circuiti di un computer. E’ stato pubblicato per la prima volta dalla (pionieristica, in molti sensi) Hybris Comics, nel 2006, in formato PDF. Ora torna più bello, più ricco ed è proposto per una piattaforma che si adatta bene alla lettura di fumetti. Penso siano questi fatti ad aver spinto la MeLeto a contattarci. Il risultato mi sembra ottimo: al contrario delle pubblicazioni cartacee, i tablet offrono l’opportunità di mostrare i fumetti esattamente come gli artisti li hanno concepiti. Ormai sono in pochi a lavorare con carta e matita. Gran parte della produzione artistica, in generale, avviene su uno schermo. Ora i lettori potranno vedere le tavole nella loro forma “pura” e ideale, senza la mediazione di un foglio di carta. Platone ne sarebbe orgoglioso.
Perché questa scelta ancora più radicale della ripubblicazione? E quanto ha cambiato il modo di pensare alla storia e alla sceneggiatura?
MS: Dal mio punto di vista, il fumetto elettronico è da considerarsi un media separato rispetto a quello cartaceo. Col tempo troverà un suo specifico tecnico e narrativo. Per ora ha trovato una voce, ma non un’anima. Sono stati fatti soltanto tentativi (piuttosto “conservatori” e cauti) di trasporre una storia a fumetti in modo che sia fruibile su uno schermo. In questo senso, Made in Italy non è una sperimentazione spericolata e non sfrutta tutte le potenzialità del mezzo. E’ un anello di congiunzione tra il vecchio Topolino ingiallito che hai in cantina ed il Turbo-Fumetto del Futuro, ipercinetico e multidimensionale, che vediamo all’orizzonte. Per questo è stato prodotto in maniera analoga ai suoi fratelli di carta, senza pesanti influenze dovute alla sua forma elettronica.
Avete già dei primi riscontri della vendita digitale di Made in Italy? Inoltre, questo fumetto e i prossimi, saranno in uscita solo per iPad o anche per altri Tablet?
MS: Made in Italy ha esordito al secondo posto nella classifica delle nuove applicazioni della sezione Libri. Poi è migrato tra le applicazioni “Nuove e Consigliate” dalla Apple. Al momento, è settimo tra i libri più venduti nell’App Store, parecchie posizioni sopra l’unico titolo che riconosco, cioè Diabolik. L’App Store è ancora un mercato elitario in Italia, certo, ma il risultato è positivo. Spero che la MeLeto produca al più presto un Made in Italy per gli altri tablet (ed anche una per il vostro cellulare, computer, lavatrice e frigorifero, se è per questo). Credo sia una questione di tempo, dovuta ad ostacoli tecnici più che a una mancanza di attenzione. Non abbiamo alle spalle una grossa organizzazione: siamo un mucchio di visionari dall’aria sospetta che parla in strane lingue nel deserto. Ci sono avvoltoi sopra le nostre teste. Ma non abbiamo timore. Noi ci nutriamo di avvoltoi.
Le grandi case sembrano ancora titubanti sulla scelta del fumetto digitale e molti appassionati lettori asseriscono che la bellezza del cartaceo non potrà mai essere rimpiazzata. Pensate che il digitale possa essere una opportunità, una sorta di nuovo corso per la storia della nona arte, oppure credete anche voi che ci sia ancora bisogno di muoversi coi piedi di piombo?!
MS: Non sarà di certo un “nuovo corso”. Se il fumetto è un albero che cresce, quello elettronico sarà un nuovo ramo che si svilupperà per i fatti suoi. E’ vero che la bellezza del cartaceo non può essere rimpiazzata, ma è assurdo pensare che il fumetto elettronico voglia farlo. L’obiettivo è aumentare e differenziare la quota globale di bellezza, non usurpare il trono delle pubblicazioni tradizionali. La carta e gli schermi possono procedere in parallelo. Le grosse case editrici ci arriveranno un passo alla volta. Sarebbe folle gettarsi a peso morto in una forma di fruizione del fumetto che non ha ancora una forma definita ed un pubblico consolidato. Se il mercato del fumetto elettronico non prendesse piede, io e Francesco rischieremmo di aver perso un po’ di tempo e sprecato qualche incazzatura, mentre un mammut come la Bonelli rischierebbe di far perdere il posto di lavoro a svariate decine persone.
Si fa tanto parlare ultimamente del ruolo dell’editore oggi, non sempre all’altezza dei bisogni di autori e lettori: questa è una terza via rispetto all’editoria e all’autoproduzione?
MS: Non saprei. Seppur eccentrico rispetto agli editori tradizionali, il CEO della MeLeto è pur sempre un editore e svolge tutte le funzioni classiche di questo ruolo. Se parliamo specificamente del fumetto su tablet, c’è una forte “selezione all’ingresso”. Non tutti sanno programmare un applicazione per cellulare. Chi non lo sa fare, deve proporsi ad un editore, seppur un editore più cyberpunk della norma, e seguire il solito iter. E’ anche vero che gli autori di fumetto ed i lettori che si dedicano alle pubblicazioni di questo tipo sono per ora pochi, quindi la scena è meno affollata di quella cartacea. Io la considero una frangia lunatica dell’editoria, più che di una forma nobilitata di autoproduzione.
Parlando ora dettagliatamente del vostro fumetto, le prime pagine sono ciniche, molto schiette e proseguendo nella narrazione la storia diviene sempre più realistica e cruda. Come succede per “Backstage”, raccontate una realtà che sembra gridare quasi alla rivoluzione (all’anarchia?), allo spogliarsi definitivamente di questo falso perbenismo dilagante; questo sembra essere il vostro marchio di fabbrica, state cercando di comunicare una riluttanza verso questa realtà e di questa attualità?
MS: L’unica anarchia che Made in Italy propone è quella del neo-feudalesimo mafioso verso cui l’Italia si sta dirigendo a grandi falcate. Quella trattata nella graphic novel è una storia che, in maniera stilizzata, cerca di fotografare quale influenza abbia avuto questa classe dirigente sulla visione del mondo propria dei ragazzi cresciuti negli anni zero. Secondo noi, è quella che viene splendidamente raffigurata in Gomorra. Io la chiamo Turbocapitalismo Mannaro. Viviamo un una società in cui l’ingiustizia, l’ignoranza e la povertà si saldano in un unico motore mafiogeno che fa a brandelli i legami sociali.
Le vittime più colpite sono i più giovani.
Si ha una visione caricaturale di questo fenomeno.
Si pensa ai “bamboccioni”.
Per avere una moralità ed un senso dello stato bisogna poterseli permettere. Quando si esaurirà l’ammortizzatore sociale non ufficiale per eccellenza, cioè i risparmi delle famiglie, cosa rimarrà ai precari di oggi? Si lasceranno morire di fame in serenità oppure inizieranno a cannibalizzare tutto quello che li circonda, con ogni mezzo necessario? Forse sarà una guerra tra poveri. Io auspico che inizino a sparare nel culo di chi li chiama “bamboccioni”, tanto per cominciare. Comunque, una grande fetta di coloro che sono nati dopo il 1975 non ha una cultura adatta ad agire in modo concertato, democratico, come forza sociale. Dopotutto, in uno stato neoliberista “la società non esiste“, no? Quel che resta è una versione atomizzata della mafia. Made in Italy si occupa di questo genere di problemi. E’ cinico, crudo e schietto, perché, al di fuori di ogni ipocrisia, questa è la lingua che parlano sia i salotti borghesi che il marciapiede. Non so se reputarlo un marchio di fabbrica, anche se è sicuro che io e Francesco parliamo come mangiamo: male e di fretta.
Tanto che a un certo punto uno dei vostri personaggi afferma: “Resta da capire che differenza c’è tra questa classe dirigente e la mafia“. Qual’è la vostra risposta a questa domanda?
MS: La risposta breve è una risata tonante e sinistra. Quella lunga è legata alla cosiddetta “questione morale“. Dubito che la classe dirigente italiana sia più o meno “malvagia” di quella francese o svedese. Quando Berlinguer rilasciò la famosa intervista in cui coniò il termine, specificò che la questione morale aveva ben poco di morale in senso stretto e molto di sistemico. Parlò di come i partiti si erano mangiati la società. Questo fa parte di un problema strutturale dei nostri partiti e, più in generale, della nostra amministrazione del potere. E’ irrilevante che il senatore X rubi a manbassa oppure il deputato Y scotenni le vecchiette per intrattenersi. Della moralità possono parlare i preti. A noi interessano gli equilibri ed i meccanismi sociali che hanno prodotto il mondo che ci circonda. In Made in Italy, in un mondo in cui il potere e la violenza sono la stessa cosa, ogni differenza sostanziale tra criminalità organizzata e classe dirigente è inconcepibile. I lettori potranno usare la loro testa per stabilire se viviamo o no in quel mondo.
Nel fumetto c’è un personaggio chiamato “il comunista” e ci sono vari riferimenti al Chè e alla Banda della Magliana. C’è indiscutibilmente un messaggio “giovanile” diretto alla politica; siete convinti che essa di questi di tempi stia raschiando un po’ il fondo, come se fosse e fossimo ormai ai ferri corti?
MS: Il fumetto è condito soprattutto da riferimenti alla storia d’Italia, soprattutto quella delinquenziale. E’ impossibile capire gli eventi occorsi nel nostro paese dal 1860 in poi se non se ne considera il lato criminale. All’interno di Made in Italy i richiami agli eventi del passato servono a plasmare lo sviluppo dei personaggi e a fornire un legame di causa-effetto tra l’ambientazione e le decisioni dei protagonisti. Da questo punto di vista, quelli di questo fumetto sono personaggi senza psicologia. Tutte le loro scelte sono frutto del contesto allargato in cui vivono: le dinamiche interiori non hanno alcuna importanza. I quattro protagonisti non arrivano a stabilire che “il futuro è cosa nostra” per via della loro storia personale, ma per via della nostra storia collettiva.
Un esempio di questo è appunto il soprannome del “Comunista”. In Made in Italy questa parola non ha alcun legame con la tradizione di sinistra, Marx, Berlinguer o i soviet. Oggi, la parola “Comunista” è stata ri-semantizzata dalla propaganda. Per la stragrande maggioranza della popolazione è poco più che un insulto generico. Il personaggio con quel nome si comporta in aderenza al nuovo significato della parola, ed infatti farebbe orrore a chiunque sia comunista per davvero. Comunque, come dicevo sopra, Made in Italy è un fumetto che parla di giovani, ma non necessariamente parla ai giovani. Non c’è nessun aspetto moralistico e nessun messaggio. Vorrebbe essere uno specchio in cui riflettersi o, all’occorrenza, su cui svolgere riti per divinare il futuro.
Il disegno, la scelta del contrasto tra colori forti nelle vignette in bianco e nero, sembrano ricercare uno stile “a la Sin City”… visto anche il richiamo fatto alla città del peccato di Frank Miller in una vignetta, è una scelta voluta o una semplice casualità?!Francesco Acquaviva: No, non è per niente una casualità! Frank Miller è uno degli autori che maggiormente mi ha influenzato da ragazzino, sia in veste di scrittore che di disegnatore. Volumi come Daredevil: Born Again, Sin City, 300 e The Man Without Fear sono dei capolavori assoluti, che mostrano una ricerca continua di sintesi e sperimentazione grafica e narrativa. Ma come nelle sue opere è evidente l’influsso degli artisti che l’hanno influenzato, così mi sono sentito libero di dare sfogo alla mia vena creativa, cercando di non pensare ai limiti che generalmente il fumetto impone (vignette,colorazione etc.) ma di andare a ruota libera, senza paura di sperimentare. In fondo credo sia questo l’insegnamento più grande che artisti come Miller ci abbiano lasciato.
Inserire nell’impaginazione in secondo piano, quasi come sfondo di alcune tavole, le banconote e la pistola, ha un significato particolare? E la scelta di ripartire alcune vignette in modo molto particolare che ritmica dà alla graphic novel?
FA: Ho sempre adorato autori del calibro di Bill Sienkiewicz, Dave McKean, David Mack, autori che hanno un pregio, sanno stupire. Ogni volta che acquistavo un loro albo passavo mesi a gustarmelo, per assaporare ogni minimo particolare, ogni scelta stilistica… era impossibile sapere quale stile Sienkiewicz avrebbe adottato per la pagina successiva, come avrebbe sviluppato la scena. Capolavori come Stray Toasters, Elektra:Assassin, Voodoo Child, Arkham Asylum e Kabuki sono dei pacchi sorpresa, dei regali per la nostra sfera emotiva, che viene sollazzata ad ogni svolta di pagina. Non dico che questo SIA il fumetto, dico che ANCHE questo lo è. Provo grandissima ammirazione per lo stile Bonelli, ma più lavoravo a Made in Italy e più mi accorgevo che quello che volevo davvero raccontare non era la storia in sé, ma le emozioni che questa mi suscitava. E allora non aveva più senso dover per forza attenersi a delle regole prestabilite. Escamotage come le banconote, la pistola o le vignette articolate mi servono proprio per questo, per cercare di arricchire il carico sensoriale del lettore, usandoli un po’ come la musica nel cinema.
La storia nella fase clou sembra prendere una velocità improvvisa, quasi come se non ci fosse tempo di passare dalle parole ai fatti, come se i protagonisti della storia volessero chiudere velocemente il “piano”. Perché questa scelta?!
MS: Made in Italy è la storia del sequestro di un personaggio definito “infame”. Per enfatizzare l’aspetto sociale della storia, abbiamo deciso di rovesciare la prospettiva narrativa più scontata e raccontare ampiamente del terreno di coltura di quel sequestro, risolvendo l’evento vero e proprio nel minor tempo possibile. Come se fosse una conseguenza naturale, senza alcun valore drammatico. Inoltre, abbiamo preferito evitare che la vittima acquisisse uno spessore umano. Quasi non ha battute ed il suo volto si vede di sfuggita solo una volta. Non sappiamo nulla di lui, se non quello che ci dice uno dei protagonisti (che noi sappiamo essere ben poco affidabile). Alla fine del fumetto, è il lettore a dover caricare di significato la vittima e stabilire chi è, perché è stato sequestrato, se lo meritava o no. Noi abbiamo deciso di sospendere il giudizio.
Questa graphic novel mostra un futuro alquanto pieno di incertezze per i giovani, credete che il fumetto come mezzo di informazione possa dare un contributo, una scossa alle nuove generazioni per non accettare passivamente questa realtà?
MS: Noi non scuotiamo le nuove o le vecchie generazioni.
Sono loro a scuotere noi.
Fumetti come Made in Italy sono il prodotto, e non la causa, di questi brividi e smottamenti tettonici, siano essi di origine sociale o psicologica. Non dobbiamo mai scordare che il mezzo d’informazione principale non sono i giornali, i saggi o i fumetti. Siamo noi stessi. Faccio un esempio: un paio di settimane fa, ero alla stazione in attesa di un treno. Mi si avvicinò un nero, evidentemente strafatatto, e mi chiese se poteva usare il mio cellulare per una chiamata. Gli dissi che non avevo credito. Era una menzogna, ma tutti i circuiti di razzismo e paura nella mia mente si erano attivati. Il nero si allontanò da me ed iniziò ad importunare persone a caso. Barcollava, era ubriaco. Una cicatrice gli tagliava in due il volto. Attorno a lui si creò il vuoto. Alcune signore ben vestite sibilarono dei commenti taglienti e se la svignarono, schifate. Dopo aver assistito alla scena per qualche minuto, e anche perché sono un dannato fesso, mi avvicinai al nero ed iniziai a chiacchierare del più e del meno con lui, visto che nessun altro era intenzionato a farlo. Aveva un nome impronunciabile, proveniva dalla Somalia. Mi disse che la cicatrice risaliva a quando era un ragazzino: un soldato gli sparò in faccia ed in pancia. Accadde durante la guerra civile, in cui l’ONU infilò una zampa per buttare giù il governo islamico. L’ONU siamo noi, per inciso. Il somalo era rimasto visibilmente traumatizzato dall’esperienza. Lavorava da un anno in una piccola fabbrica in Inghilterra, per pochi soldi, con un mucchio di ore di lavoro e ben poche soddisfazioni. Diceva di essere stufo di fare l’immigrato. Il giorno successivo sarebbe tornato in patria, dai suoi amici e la sua famiglia. Anche io sono un immigrato, proprio da un anno. Anche io sono stanco di quella vita. Ed anche io sto tornando in patria. Scambiando storie con il somalo, mi sono reso conto di quanti pensieri e sensazioni profonde avessimo in comune. Perché questo è quel che fanno gli esseri umani. Ed è quello che io e Francesco facciamo con i lettori.